Lavorare 4 giorni a settimana? In mezza Europa è già possibile
Dalla pionieristica Islanda alla Spagna, dal Belgio all’Italia e soprattutto alla Gran Bretagna: in diversi Paesi si sta sperimentando la “Four Days Week”, la settimana lavorativa corta. Tra tanti vantaggi (anche per l’ambiente) e qualche perplessità
Nell’Ottocento in Europa le operaie tessili lavoravano circa 16 ore al giorno. In Italia con una legge del 1899 si scende a un massimo di 12 ore. Nel 1902 un accordo alla Fiat di Torino introduce le 10 ore. E dal 1923 un Regio decreto fissa le otto ore su sei giorni (48 ore settimanali). Ma è solo con i rinnovi contrattuali di fine anni Sessanta che l’orario settimanale scende a quota 40, con la conquista della settimana corta, quella in cui si lavora cinque giorni anziché sei, dal lunedì al venerdì. Oggi siamo arrivati alla nuova frontiera: la“settimana corta”, quella da quattro giorni.
La “Four Days Week” in Europa e nel mondo
Esperimento dopo esperimento, la “Four Days Week” sta diventando realtà in alcuni settori di Paesi europei e non, anche se a macchia di leopardo. Ha iniziato l’Islanda, una delle prime tra il 2015 e il 2019 a testare la settimana di quattro giorni per 35-36 ore di lavoro: i risultati sono stati buoni, con le imprese che hanno registrato una maggior produttività e l’86% dei dipendenti che ha scelto i quattro giorni all’insegna del “meno stress”. In Nuova Zelanda le sperimentazioni sono iniziate nel 2018, introdotte da società come Unilever e poi rilanciate dal Governo.
Ma è in Gran Bretagna che è stato condotto il test più corposo. Tra giugno e dicembre dell’anno scorso ben 61 imprese con quasi tremila dipendenti hanno sperimentato la “Four Days Week”: aziende di software, di recruitment, industrie, società no profit e di ristorazione. I risultati sono andati al di là di ogni aspettativa. Il 39% dei dipendenti ha dichiarato di aver ridotto lo stress, il 40% di dormire meglio e il 54% di aver migliorato l’equilibrio casa-lavoro. Il numero di giorni di malattia è crollato di due terzi, le dimissioni sono diminuite del 57%. Le aziende, da parte loro, hanno segnalato un incremento della produttività e della soddisfazione dei dipendenti. Delle 61 che avevano iniziato il test, 38 hanno esteso la sperimentazione della “settimana corta” e 18 hanno deciso di adottarla per sempre.
Anche la Spagna ha avviato un test triennale, nell’autunno del 2021, con l’obiettivo di ridurre a 32 ore su quattro giorni la settimana lavorativa. Diverse aziende spagnole comunque l’avevano già introdotta: da Delsol (software) a La Francachela (ristoranti), da Ephimera (eventi) a Microsoft (IT). L’anno scorso anche il Belgio ha introdotto la “settimana corta”, ma senza tagliare le ore: l’idea è concentrarle in quattro giorni, previo accordo tra datore di lavoro e dipendente, con un periodo di prova di sei mesi.
Infine, anche la Svezia, gli Stati Uniti e il Giappone stanno sperimentando l’adozione di questa formula lavorativa.
Il caso di Intesa San Paolo in Italia
Nel nostro Paese non esiste ancora una normativa sul tema, ma alcune aziende hanno volontariamente ridotto l’orario di lavoro (tra queste Team System, Mondelez International, PA Advice, Velvet Media, Awin Italia, Carter&Benson).
E di recente Intesa Sanpaolo, il maggiore gruppo bancario italiano, ha offerto ai suoi 74mila dipendenti la possibilità di concentrare il monte ore settimanale su quattro giorni anziché cinque e di estendere lo smartworking fino a 120 giorni l’anno. La nuova modalità lavorativa che Intesa Sanpaolo ha avviato in via sperimentale per i dipendenti che lavorano in Italia, “va incontro alle esigenze di conciliare gli equilibri di vita professionale e lavorativa delle proprie persone e dimostra attenzione al loro benessere”, ha comunicato la banca.
I vantaggi per benessere e ambiente
I benefici della “Four Days Week” sono innegabili. Al di là della miglior produttività e del benessere del dipendente, non vanno dimenticati quelli ambientali. Lavorare quattro giorni anziché cinque per i pendolari significa risparmiare chilometri e per le aziende utilizzare meno energia elettrica e riscaldamento. Uno studio condotto dal team di Juliet Schor, economista del Boston College e lead researcher del “Four Days Week Global” che ha condotto le sperimentazioni in Gran Bretagna e Stati Uniti, ha dimostrato che una diminuzione del 10% delle ore di lavoro si traduce in un abbattimento dell’8,6% delle emissioni di CO2.
I nodi organizzativi
Restano però alcuni dubbi. Digitale a parte, in alcuni settori tradizionali rimodellare l’intera organizzazione su quattro giorni non è sempre facile. I benefici per i lavoratori, poi, vanno valutati con attenzione, soprattutto per chi propone i quattro giorni ma senza riduzione dell’orario settimanale (è il caso del Belgio o di Intesa Sanpaolo). Come segnala l’Osservatorio del Politecnico di Milano, vanno anche considerati gli impatti sui processi operativi e sulla necessità di coordinamento tra chi lavora quattro e chi cinque giorni, sia all’interno che all’esterno dell’azienda.
Poi ci sono Paesi, come l’Italia, dove si lavora molto in termini di ore ma con un basso livello di produttività: secondo i dati Ocse, nella Penisola ogni lavoratore produce in media una ricchezza annuale in termini di Pil pari a 70.894 euro, contro i quasi 80mila della Germania e gli 86mila della Francia. Non solo. Negli ultimi vent’anni la produttività del lavoro in Italia è cresciuta di appena il 31%, contro il 50% della Francia, il 51% della Germania e il 55% della Spagna. Nel caso dell’Italia, quindi, l’introduzione della “settimana breve” andrebbe accompagnata a misure in grado di aumentare una produttività finora poco brillante.
Fonte: Eurostat, dati 2020
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