Il costo della vita spinge a maggior flessibilità
Una ricerca pubblicata dalla Harvard Business Review ha identificato tre principali tendenze che stanno cambiando il comportamento dei consumatori, offrendo opportunità alle aziende che sapranno coglierle. La prima è la fine del radicamento e la necessità di flessibilità; la seconda è la necessità di nuove infrastrutture e servizi che soddisfino la vita nomade; la terza, la possibilità di modellare il discorso attorno a nuovi valori e stili di vita.
Secondo i ricercatori, i “digital nomads” – persone che adottano uno stile di vita nomade grazie al lavoro a distanza, che consente loro di vivere in diversi paesi nel mondo, spesso convenienti per il basso costo della vita o per vantaggi fiscali – sono in costante aumento. Lo studio riporta un sondaggio secondo il quale oltre 17 milioni di lavoratori americani si identificano come nomadi digitali, con un aumento del 131% rispetto al 2019. Gli intervistati appartenevano a un’ampia gamma di professioni. Il nomadismo digitale, infatti, non riguarda solo lavoratori del settore della tecnologia, ma è uno stile alternativo di vita che riguarda tutti, incluse famiglie con bambini e pensionati.
Nel mondo, si stima che i nomadi digitali siano circa 40 milioni nel 2024. Tuttavia, in generale non è possibile avere una cifra esatta e le stime possono oscillare tra 20 e 80 milioni.
I giovani si spostano dove costa meno
Negli anni della pandemia la crescita è stata esponenziale. Ma anche dopo, con la fine delle restrizioni al movimento e il ritorno in ufficio per molti lavoratori, questa modalità di lavoro (e uno stile di vita meno legato a un luogo in particolare) è rimasta la corsia preferenziale soprattutto per i giovani.
Sempre più infatti, il tradizionale modo di vivere sta diventando economicamente insostenibile per una fetta della popolazione. Millennials e Gen Zs in particolare sono stati penalizzati dall’aumento generalizzato del costo della vita. Nelle grandi città fanno fatica a pagare l’affitto e comprare casa per loro è spesso un miraggio. Sono quindi quelli più propensi a spostarsi, a trarre vantaggio da paesi dove i costi sono più contenuti o dove viene loro offerto un beneficio fiscale.
Sfida allo status quo
Flessibilità e lavoro da remoto hanno alimentato il fenomeno che, tuttavia, secondo l’analisi pubblicata dalla Harvard Business Review, va oltre il modo di lavorare e rappresenta un cambiamento di obiettivi e di mentalità. Per molte persone, giovani ma anche meno giovani, quel che è considerato importante non è più tanto la stabilità, il possesso di una casa, ma la qualità della vita e la flessibilità.
In molte culture, uno stile di vita nomade viene ancora considerato fuori dalla norma e chi decide di adottarlo in qualche modo sfida la cultura dominante. Ma per le aziende vi sono opportunità se decidono di svolgere un ruolo nell’accettazione di stili di vita meno solidi e prestabiliti. Quelle in grado di comprendere come i trend stanno cambiando sono meglio posizionate per centrare i nuovi bisogni e per guadagnare la fiducia dei clienti.
I rapidi progressi nella tecnologia – dall’intelligenza artificiale alla realtà aumentata – probabilmente renderanno ancora più facile ed efficiente lavorare da remoto ovunque uno si trovi.
Sconti fiscali
L’aumento del nomadismo digitale è stato alimentato anche dalla facilità di ottenere visti per lavorare in altri paesi che, durante la pandemia, hanno cercato di calamitare il più alto numero possibile di smartworker, possibilmente con robusti stipendi. Anche perché i flussi di pensionati verso l’estero erano bloccati per via del contagio.
La Grecia ha offerto un bel 50% di sconto fiscale per un anno a chi avesse trasferito la propria residenza in terra ellenica nel 2021. Il megabonus durava dodici mesi ed era riservato a persone non fiscalmente residenti in Grecia negli ultimi sette anni e con un lavoro. L’offerta è ancora valida.
L’Estonia e la residenza elettronica
L’Estonia è stata tra i primi paesi a offrire un programma di “residenza elettronica” (e-residency) per attirare a prezzi politici imprenditori anche non fisicamente domiciliati nel piccolo Stato baltico. Una “porta” di tutto rispetto per entrare nel mercato Ue, rivolta - come spiega il sito del Governo estone - a startup, digital nomads, freelance e digital entrepreneur.
Inoltre Tallinn ha lanciato un nuovo “visto digitale”, che permette ai remote worker di vivere in Estonia lavorando anche come dipendenti per un’impresa registrata all’estero.
A darsi più da fare sul fronte digital nomads sono però Paesi del Mediterraneo come l’Italia, la Grecia o la Spagna. Già dal 1° gennaio 2020 con il “decreto crescita” Roma ha aumentato i vantaggi per i cosiddetti “lavoratori impatriati”, quelli che trasferiscono la loro residenza fiscale nella Penisola: la percentuale di reddito esentasse aumenta per chi sceglie di vivere in regioni del centro-sud come Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia. Il beneficio dura cinque anni, con la possibilità di proroga per un altro quinquennio, ma l’attività lavorativa dev’essere svolta prevalentemente in territorio italiano.
Recentemente l’Italia ha introdotto un visto “ad hoc” per nomadi digitali, con il decreto attuativo del febbraio 2024 per attrarre cittadini extra Ue altamente qualificati che possono lavorare a distanza.
Tra le mete, resta molto gettonata la Spagna, dove per ottenere un visto è richiesto un reddito minimo di 26mila euro l’anno.
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