Boom delle comunità energetiche in Europa. Italia in ritardo?
Cittadini, imprese ed enti locali uniti per produrre e condividere energia pulita: nate a fine Ottocento, le comunità energetiche sono ormai diventate novemila in tutta Europa. E l’Italia può colmare i suoi ritardi grazie ai nuovi incentivi del Pnrr.
Un taglio delle emissioni di CO2 di 1,35 milioni di tonnellate, con un risparmio economico tra 1,3 e 1,5 miliardi di euro. Secondo una recente analisi di Accenture sono questi i risultati concreti che le comunità energetiche potrebbero portare all’Italia, quando verranno raggiunti 5GW di potenza installata con una produzione di 6TWh di elettricità.
Certo, la strada è ancora lunga: nel nostro Paese oggi esistono solo 86 comunità energetiche (il 65% delle quali ancora in realizzazione) per una potenza installata di 60MW. Una goccia nell’oceano se consideriamo che in Europa sono ben novemila, concentrate soprattutto in Germania e Danimarca. Ma la strada imboccata dall’Italia è quella giusta, anche grazie agli incentivi contenuti nel Pnrr (il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il programma con cui il nostro Paese sta gestendo i fondi europei del piano Next Generation Ue).
Che cosa sono le comunità energetiche
Ma cosa si intende per comunità energetiche? In pratica si tratta di associazioni di utenti che collaborano per produrre, consumare, condividere e gestire energia prodotta da fonti rinnovabili (grazie a uno o più impianti installati nelle vicinanze). Gli “attori” delle comunità energetiche spaziano dai cittadini alle imprese, dagli enti pubblici alle attività commerciali. Tutti uniti da un triplice obiettivo: promuovere la generazione distribuita, facilitare la transizione verso fonti rinnovabili e ridurre la dipendenza dal sistema elettrico nazionale.
Fonte: Osservatorio Accenture-Agici, maggio 2023
I modelli di comunità energetica previsti in Italia
In Italia i modelli di comunità energetica previsti dalla legge sono due. C’è quello dell’Autoconsumo Collettivo (AUC), dove due o più clienti finali di uno stesso condominio producono elettricità pulita per il proprio consumo, ma anche in ottica di immagazzinamento e rivendita. Poi ci sono le Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) vere e proprie, dove invece sono coinvolte persone fisiche, enti locali e piccole e medie imprese: si costituiscono come soggetto giuridico basato sulla partecipazione volontaria degli iscritti.
Come funzionano le comunità energetiche
In pratica, quindi, i soggetti pubblici e privati della comunità energetica uniscono le loro forze per produrre elettricità green con impianti condivisi, come per esempio la centrale eolica di un’impresa, l’impianto idroelettrico di un Comune o i pannelli fotovoltaici di un privato cittadino.
L’energia in eccesso viene ceduta ad altri soggetti della comunità grazie a smart grid (reti elettriche “intelligenti”), ma anche immagazzinata con sistemi avanzati di storage, oppure venduta. Tutti i soggetti sono impegnati nelle diverse fasi di produzione, consumo e scambio, con una partecipazione attiva che segue i principi di responsabilità ambientale, sociale ed economica.
La storia delle comunità energetiche in Italia
I primi pionieri delle comunità energetiche compaiono a fine Ottocento. Anche in Italia, dove nel 1897 a Morbegno, in Valtellina, viene fondata la cooperativa SEM che ancor oggi - grazie a otto impianti idroelettrici - fornisce elettricità a 13mila utenti. Celebre è poi la Società Elettrica Santa Maddalena, inaugurata nel 1921 a Funes (Alto Adige), che attualmente produce energia da fonti rinnovabili grazie a impianti fotovoltaici, idroelettrici e a biomasse: l’elettricità in eccesso viene venduta e il ricavato investito in progetti legati al territorio. Altri esempi pionieristici sono la Cooperativa Elettrica Alto Bût, nata in Friuli nel 1911, l’Azienda Energetica Prato Società Cooperativa, fondata nel 1926 in Val Venosta, e la valdostana CEG, inaugurata nel 1927.
Le comunità energetiche all’estero
Ma è negli anni Settanta che il modello della comunità energetica inizia a decollare in grande, grazie a impianti eolici costruiti prima in Danimarca e successivamente in Germania e Belgio. Negli ultimi decenni, grazie alla liberalizzazione del mercato e all’innovazione tecnologica, il modello si allarga a macchia d’olio. Tra le best practice più famose spicca il Bioenergy Village di Jühnde in Germania, nato nel 2005 grazie alla collaborazione tra la comunità locale e l’Università di Göttingen: è un sistema di cogenerazione a biogas da 700 kW che permette ai cittadini di produrre il 70% del calore necessario al proprio fabbisogno e il doppio dell’energia necessaria. Il surplus di elettricità viene ceduto alla rete e i ricavi investiti sul territorio.
E Bruxelles? Con la Direttiva “Renewable Energy”, la Commissione Ue punta a raggiungere un terzo di consumi energetici da rinnovabili entro il 2030. L’Italia si sta adeguando alla normativa europea e dovrebbe a breve completarne il recepimento attraverso i decreti attuativi, l’ultimo dei quali prevede regole e incentivi economici.
Gli incentivi per le comunità energetiche italiane
Per lo sviluppo delle comunità energetiche il nostro Paese ha stanziato oltre 2,6 miliardi di euro, di cui 400 milioni destinati alle Regioni e 2,2 miliardi come contributo del Pnrr a famiglie, microimprese ed enti pubblici in Comuni con meno di 5mila abitanti. Il contributo arriva a un massimo del 40% dei costi sostenuti, ai quali si aggiunge un incentivo del Gestore dei Servizi Energetici (la società pubblica che promuove l’uso delle rinnovabili).
Questo schema di bonus, tuttavia, secondo Accenture andrebbe migliorato e ampliato. Il costo per l’installazione di impianti di energia rinnovabile è infatti notevole (dai 55mila a oltre 200mila euro) e l’incentivo del Gestore dei Servizi Energetici rappresenta una percentuale ancora marginale (circa il 15%) dei guadagni della comunità. Inoltre la scelta di destinare i fondi del Pnrr solo a Comuni con meno di 5mila abitanti solleva perplessità, sia per la taglia ridotta delle comunità sia per il fatto che il 40% di questi enti locali sono concentrati in Lombardia e Piemonte. Si dovrebbe puntare più su comunità energetiche che coinvolgano piccole e medie imprese o enti locali, conclude il report di Accenture, perché mostrano le migliori performance sia nel breve che nel lungo termine (anche grazie a un modello più “industriale” e scalabile).
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