Da Como alle stelle: ecco la startup italiana che ha inventato la logistica spaziale
Fondata nel 2011 e appena quotata a Wall Street, l’italiana D-Orbit è diventata in pochi anni protagonista della logistica spaziale. La sua missione? Portare decine di nanosatelliti in orbita in tempi brevi e a costi contenuti. Senza dimenticare di “ripulire” lo spazio dai vecchi rottami. Ecco la storia di questa perla del made in Italy.
Il primo a sollevare il problema fu il barone Wernher von Braun, l’ingegnere aerospaziale tedesco, progettista prima dei missili V1 e V2 per Hitler e poi del Saturn V (che portò l’uomo sulla Luna) per la Nasa. «Abbiamo un problema di logistica nello spazio - annunciò a inizio anni Sessanta il celebre scienziato - e spero che si discuta presto di come il supporto logistico rappresenti un elemento cruciale per i grandi progetti di sviluppo». Cinquant’anni dopo è stato l’italiano Luca Rossettini (vicentino, classe 1975) a dare una risposta concreta all’appello di von Braun, con la sua D-Orbit di Fino Mornasco, in provincia di Como.
Da startup a leader di mercato
Fondata nel 2011 e appena quotata al Nasdaq di Wall Street tramite una Spac (Special Purpose Acquisition Company, un veicolo d’investimento) assieme a Breeze Holdings Acquisition Corp, l’azienda di Rossettini nasce con due mission ben precise: logistica spaziale e rimozione della spazzatura in orbita. Il fenomeno dello “space debris” è sempre più preoccupante: secondo le stime dell’ente spaziale europeo, sulle nostre teste stanno volando alla velocità di oltre 25mila chilometri l’ora ben 36.500 oggetti più lunghi di 10 centimetri, un milione di schegge di lunghezza compresa tra uno e dieci centimetri e qualcosa come 130 milioni di frammenti inferiori al centimetro.
La comasca D-Orbit è diventata in pochi anni leader nel settore della logistica spaziale e della “pulizia” dell’orbita bassa terrestre proprio anticipando un’esigenza di mercato della “Space Economy” oggi sempre più diffusa: portare in orbita flotte di nanosatelliti in tempi brevi e a costi contenuti. Grazie al cargo Ion - anch’esso made in Italy, grande come una lavatrice e pesante poco più di duecento chili - D-Orbit può trasportare nanosatelliti (anche quelli da 10 centimetri cubici) e rilasciarli uno per uno nei loro rispettivi slot orbitali, senza ulteriori costose manovre da parte delle singole macchine. In questo modo, il lasso di tempo dal lancio all’avvio delle operazioni viene ridotto fino all’85% e il costo di un’intera “costellazione satellitare” scende anche del 40%. D-Orbit - che ha aperto sedi in Gran Bretagna, Stati Uniti e Portogallo - è stata anche la prima società spaziale al mondo a ottenere la famosa certificazione di sostenibilità B-Corp.
Il boom della logistica spaziale
L’azienda italiana sta crescendo di pari passo con il mercato della logistica. Stando al primo rapporto sullo Space Logistic Market, realizzato da Euroconsult, il settore di cui parlava von Braun sessant’anni fa è destinato a generare entro il 2031 un giro d’affari da 4,4 miliardi di dollari, attraverso una cinquantina di società che offrono un ecosistema completo di servizi per gestire l’intero ciclo di vita operativa di un satellite, dal lancio alla rimozione dall’orbita.
Più in dettaglio, secondo il report esistono sei distinti segmenti di mercato, con diversi livelli di maturità: l’accesso allo spazio, la logistica dell’ultimo miglio (Lml), l’estensione di vita, la rimozione attiva dei detriti (Adr), l’assemblaggio e la fabbricazione in orbita (Ooam) e la gestione spaziale (Ssa). Il segmento più interessante dovrebbe essere proprio quest’ultimo, lo “Space Situational Awareness”, destinato a valere da solo 1,4 miliardi di dollari entro il 2031: sarà spinto dalla congestione dell’orbita bassa (si prevede che entro il prossimo decennio i satelliti in cielo supereranno quota 65mila) e dalla necessità delle aziende di poter gestire in sicurezza le proprie macchine.
Daranno un forte impulso alla logistica spaziale anche gli incentivi governativi ma soprattutto una cornice normativa in grado di garantire concorrenzialità e prezzi bassi. Si prevede che nei prossimi anni il costo dei lanci crolli a un terzo di quello attuale, grazie allo sviluppo di nuovi razzi riutilizzabili. In tutto questo, secondo le stime di D-Orbit, nel suo complesso l’economia dello spazio arriverà entro il 2030 a valere l’enorme cifra di 1,4 trilioni di dollari, garantendo una crescita verticale ai nuovi attori del mercato.
Fonte: Union of Concerned Scientists Satellite Database
L’avvento dei nanosatelliti
A giocare un ruolo chiave saranno i nanosatelliti, destinati a cambiare completamente pelle alla “space economy”. Nei suoi primi sessant’anni di vita, infatti, l’economia spaziale è stata dominata da grandi agenzie nazionali o transnazionali e colossi industriali (con appaltatori secondari). I satelliti erano di grandi dimensioni e molto costosi in tutte le loro fasi di vita, dalla progettazione alla costruzione, fino al lancio e alla gestione della macchina in orbita.
Oggi invece la tecnologia ha dato vita a “costellazioni di nanosatelliti” (ciascuno grande come una scatola da scarpe) estremamente economici ma in grado di interagire tra loro, effettuando il lavoro del vecchio maxisatellite in modo migliore e con costi incredibilmente più contenuti. A differenza delle macchine tradizionali, infatti, un gruppo di nanosatelliti distribuiti (come i CubeSats sempre più utilizzati dall’ente spaziale europeo) è in grado di effettuare monitoraggi molto frequenti di un particolare punto della Terra, anche più volte al giorno.
Come ha sottolineato di recente Giorgio Saccoccia, presidente dell’Agenzia spaziale italiana, il mercato dei nanosatelliti è in grande sviluppo: è cresciuto anche negli anni della pandemia e si stima che entro il 2030 raggiungerà gli 8,9 miliardi di dollari. E’ un settore cruciale perché i nanosats hanno costi ridotti (quindi permettono a nuovi operatori di investire nella “space economy”), si prestano a diversi utilizzi e promettono grandi potenzialità commerciali. Inoltre, offrono la possibilità di aggregazioni inedite tra università, grande industria e piccole e medie imprese, nel nome dell’innovazione tecnologica. Altro aspetto positivo è la velocità: dalla concezione della macchina alla messa in orbita passano tempi assai ridotti rispetto ai grandi satelliti tradizionali.
Satelliti dai mille usi
Gli utilizzi delle “costellazioni di nanosats” sono davvero infiniti. Si va dalle telecomunicazioni alla misura delle riserve idriche e a quelle di idrocarburi delle raffinerie, dalla “fotografia” del consumo di potenza istantanea delle centrali termoelettriche al traffico nei porti, nei parcheggi e sulle autostrade. I nanosatelliti forniscono dati precisi anche sulle caratteristiche dei raccolti, sulle evoluzioni meteo e sulla produttività dei terreni, contribuendo a ottimizzare la produzione dell’agricoltura di precisione. I dati provenienti dallo spazio permettono inoltre di monitorare l’avanzamento della desertificazione, gli incendi, il livello del mare e in generale di migliorare la ricerca scientifica sui cambiamenti climatici.
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