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Iperconnessa, robotizzata, digitale: ecco come sarà la fabbrica del futuro


Colonna portante della quarta rivoluzione industriale, le smart factories stanno diventando hub fondamentali di innovazione e laboratori per le nuove frontiere dell’interazione uomo-macchina. L’obiettivo? Ridisegnare lo scenario dell’industria mondiale.

Dimentichiamoci le vecchie fabbriche fordiste, con migliaia di operai intruppati intorno alla catena di montaggio tra grasso, metallo e sudore: nell’asettica e organizzatissima fabbrica del futuro domineranno i “robot collaborativi”, con gli operatori umani non più in tuta blu ma in camice bianco, trasformati in tecnici specializzati in big data e in meccatronica, forse somiglianti a “supereroi” dotati di visori di realtà aumentata e di esoscheletri. Di più: la smart factory rappresenterà il grande laboratorio dell’interazione tra uomo e macchina.

 

Che cos’è Industria 4.0

La fabbrica del futuro si basa sul paradigma “Industria 4.0”, nato in Germania nel 2011: un cambio di pelle della manifattura nel nome dell’innovazione e delle tecnologie informatiche connesse. Nelle smart factories, infatti, le macchine non sono più mere esecutrici di un processo ma possono comunicare tra loro. La sigla “4.0” fa riferimento alla quarta rivoluzione industriale, che come le tre precedenti (quelle meccanica, automatica ed elettronica) sta portando a un impressionante aumento della produttività, ma soprattutto alla ridefinizione dello scenario competitivo industriale mondiale. Il tutto nel nome di una flessibilità diventata fondamentale, perché i consumatori chiedono sempre più prodotti personalizzati, fatti su misura, “sartoriali”.

 

Le 5 skill più importanti per l’industria del futuro

Fonte: Osservatorio 4.0 Politecnico di Milano

 

Aumento di produttività e reshoring

Secondo un report della World Manufacturing Foundation, inoltre, lo sviluppo della produttività legata a Industria 4.0 farà crescere del 30% il reshoring (ovvero il rimpatrio di fabbriche delocalizzate in Paesi a basso costo del lavoro), anche per le difficoltà delle lunghe catene di forniture globali, in perenne emergenza causa pandemia e guerra in Ucraina. Una volta diventata “smart”, parte dell’industria sta quindi tornando nei Paesi tecnologicamente avanzati. Con l’obiettivo di innescare un circolo virtuoso di crescita e innovazione.

 

Come funziona la fabbrica del futuro

Ma quali sono i cardini della smart factory? Un interessante studio di Assolombarda, “Il futuro della Fabbrica”, scende in dettagli sorprendenti. Nuove tecnologie come la realtà virtuale (VR), quella aumentata (AR) o il virtual prototyping rappresentano un salto di qualità enorme per i processi di design, progettazione e industrializzazione, nati con i vecchi tecnigrafi digitali CAD degli anni Settanta. Grazie all’evoluzione degli strumenti di modellazione, infatti, oggi è possibile progettare prodotti, processi, macchine, sistemi, perfino intere fabbriche e filiere, sperimentando in una dimensione virtuale di open innovation.

 

Virtual prototyping

Oltre alle classiche workstation, oggi per la prototipazione della smart factory si utilizzano strumenti di visualizzazione di realtà virtuale oppure di realtà aumentata, con i quali è possibile interagire in uno spazio che è fisico e virtuale allo stesso tempo. Nella realtà aumentata è infatti possibile visualizzare contenuti digitali (come modelli 3D, immagini, testi, video) inseriti in un ambiente reale.

 

Realtà aumentata

Ma la realtà aumentata ha un impatto positivo non solo sulla progettazione. Durante le fasi di assemblaggio, per esempio, l’accesso rapido e diretto alle informazioni migliora la competenza tecnica dell’operatore, ottimizzando la produttività e riducendo potenziali errori. Nelle fasi di controllo qualità e ispezioni, la realtà aumentata aiuta a individuare rapidamente i problemi. E durante la manutenzione riduce i costi dell’assistenza (che può avvenire da remoto) e i tempi di soluzione di un problema. Tramite la realtà aumentata è inoltre possibile “interrogare” apparecchiature di vario genere presenti in azienda, anche con dispositivi wearable.

 

“Gemello digitale”

Ma attenzione: i processi di simulazione e prototipazione virtuale aprono le smart factories a un dialogo con l’intera filiera industriale, dai fornitori ai clienti, abbattendo le barriere all’ingresso e stimolando tutti gli stakeholder a partecipare ai processi di innovazione. L’open innovation è resa possibile dai “Gemelli digitali”, ovvero le copie virtuali (ma dettagliatissime) di oggetti fisici o procedure, in grado appunto di coinvolgere da remoto diversi attori nelle fasi di test e ottimizzazione.

 

Esoscheletri

Gli esoscheletri sono dispositivi indossabili che aiutano i lavoratori, sgravandoli di una parte del carico meccanico. Costruiti sulla base del corpo umano, garantiscono un minor affaticamento dell’operatore e di conseguenza una miglior produttività e qualità, oltre a una riduzione degli infortuni e delle patologie muscoloscheletriche. Inoltre, possono compensare la riduzione di forza dei lavoratori in età avanzata, permettendo il mantenimento in servizio di personale esperto in compiti di montaggio o manutenzione particolarmente complessi.

 

Internet delle Cose

Rivoluzionario è anche l’Internet delle Cose (IoT), l’enorme network di oggetti collegati fra loro in grado di comunicare sia reciprocamente che verso punti nodali del sistema. In fabbrica tutto ciò si traduce nel montare sensori sui macchinari e connetterli tra loro, in modo da generare masse di dati da analizzare per ottimizzare la produzione. Grazie all’IoT, per esempio, la manutenzione diventa “predittiva”: monitorando in tempo reale i parametri di funzionamento dei macchinari, come vibrazioni o temperature, la smart factory riesce a prevedere l’insorgenza di un guasto (grazie ad algoritmi creati ad hoc) oppure a massimizzare l’efficienza energetica, evitando sprechi. Non solo. L’analisi dei big data serve a migliorare i prodotti, a offrire servizi più personalizzati, a creare nuove linee di business, a ridefinire i rapporti con i partner commerciali e molto altro.

 

Robotica collaborativa

La robotica industriale è una realtà consolidata da tempo in tutto il mondo, in particolare in Paesi come Corea del Sud e Singapore, come sottolinea uno studio dell’International Federation of Robotics. Ma anche qui l’evoluzione galoppa. Da qualche anno si stanno affermando i “cobot”, robot collaborativi in grado di lavorare fianco a fianco con l’uomo senza necessità di infrastrutture di protezione. Il risultato è la nascita di nuove linee di produzione miste, in parte umane e in parte robotiche, nelle quali alle macchine vengono affidati i compiti ripetitivi a basso valore aggiunto e all’uomo quelli caratterizzati da flessibilità e versatilità.

 

Interazione uomo-macchina

L’Industria 4.0 ruota intorno al rapporto tra uomo, robot e tecnologie, con interfacce sempre più complesse e sofisticate. Nelle smart factories i lavoratori non interagiscono più con singoli macchinari ma con una rete di sistemi decentralizzati, dinamici e aperti, quasi da fantascienza. Sono dotati di nodi di intelligenza distribuita, connessi a migliaia di sensori e reti di comunicazione: intervengono su macchinari, dispositivi e processi, incorporando modelli digitali del mondo fisico. In continua evoluzione, questi sistemi si intrecciano sempre più con la dimensione sociale delle persone, tanto da essere definiti cyberfisici-sociali.

 

Nuove figure professionali

Ovvio che la dimensione futuristica della smart factory abbia bisogno di nuovi profili professionali, come ricorda tra le altre un’analisi dell’Osservatorio 4.0 della School of Management del Politecnico di Milano. Il lavoro infatti si sta spostando dalla sfera manuale, legata alla pura trasformazione fisica, a quella cognitiva, con gli operatori coinvolti nei processi decisionali di progettazione o miglioramento di tecnologie e processi. Tra i profili più richiesti ecco quindi emergere quelli di Data Analyst, Data Scientist, oppure gli specialisti di Intelligenza Artificiale e Machine Learning. Ma anche figure più particolari come il “dronista”, esperto nel guidare i droni, o il “chippista”, l’installatore di sensori IoT. E ancora: servono progettisti di soluzioni tecnologiche o digitali, esperti di formazione, professionisti che si occupano di sviluppo organizzativo. E specialisti dell’interazione uomo-macchina.

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