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Spazio: 130 milioni di rottami come mine vaganti


È il pericolo numero uno dell’orbita terrestre: un oceano di relitti e detriti volanti che minaccia i sistemi di comunicazione e la stessa vita degli astronauti. Ecco perché bisogna cercare di risolvere il problema degli “space debris”.

Quando un enorme pezzo di razzo – quattro tonnellate e mezzo di peso per circa 12 metri di lunghezza – si è schiantato sulla Luna alla velocità di 9.300 chilometri all’ora, provocando nell’impatto un cratere di almeno venti metri di diametro, è scoppiata la polemica, alimentata anche dalle tensioni tra Cina e Stati Uniti. I due governi si accusavano a vicenda, ma non si è mai capito se il razzo fosse appartenuto alla Cina o alle missioni SpaceX di Elon Musk.

Fatto è che il rottame, dopo una missione fallita partita dal pianeta Terra, ha viaggiato come una scheggia impazzita per sette lunghi anni nello spazio, senza meta, prima dello schianto. Che cosa sarebbe accaduto se invece avesse colpito la Stazione spaziale internazionale con i suoi astronauti a bordo? E se invece fosse precipitato sulla Terra?

Con il settore privato sempre più interessato a operare nel business spaziale, oltre all’incremento dei programmi governativi di lanci in tutto il mondo (l’India da poco ha compiuto il suo primo atterraggio sulla Luna), il problema della spazzatura spaziale è destinato inevitabilmente a peggiorare.

 

Un oceano di detriti

Dal 1957 (l’anno dello Sputnik, primo satellite artificiale della storia) grazie a 6.180 razzi sono stati lanciati sopra le nostre teste qualcosa come 12.720 satelliti. Secondo le ultime stime dello Space Debris Office dell’Esa, quelli ancora nello spazio sono 7.810, di cui circa 5.300 funzionanti, per un peso complessivo che sfiora le 10mila tonnellate.

 

Fonte: ESA - Space debris by the numbers

 

In orbita, si calcola che in 65 anni di missioni spaziali si siano verificate più di 630 tra collisioni, esplosioni e distacchi di parti di razzi o astronavi. Il risultato è un oceano di spazzatura: sono quasi 30mila gli oggetti di dimensioni rilevanti, continuamente monitorati dai network internazionali delle agenzie spaziali. Ma anche questa è solo la punta dell’iceberg. L’Esa stima che sopra di noi volino alla velocità di oltre 25mila chilometri all’ora ben 36.500 oggetti più lunghi di 10 centimetri, un milione di schegge di lunghezza compresa tra uno e dieci centimetri e qualcosa come 130 milioni di frammenti inferiori al centimetro.

Una minaccia continua per satelliti, astronavi e per la stessa Iss, la Stazione spaziale internazionale, dove sono ormai pane quasi quotidiano le correzioni di rotta per evitare l’impatto con i pezzi più grandi e pericolosi di “space debris”.

Ma c’è di peggio. Come ha dichiarato alla Bbc l’astronomo Jonathan McDowell dell’Harvard-Smithsonian Center, dopo decenni di lanci si è completamente persa traccia di almeno una cinquantina di oggetti di grandi dimensioni. Forse sbriciolati da collisioni spaziali. Oppure solo difficili da rilevare, e quindi potenzialmente pericolosi.

 

L’allarme della Nasa

Il problema è molto serio. Da sei anni la Nasa ha avvertito che quello dello “space debris” è «il pericolo numero uno per astronavi, satelliti e astronauti». Nonostante la guerra russo-ucraina e Putin che aveva messo in stato di allerta le difese strategiche nuclari, l’emergenza della spazzatura spaziale si è ritagliata un angolo speciale dell’agenda dalla Commissione Difesa del Senato statunitense.

L’oceano di detriti orbitali, infatti, è diventato così denso da ostacolare persino la comunicazione tra satelliti sia militari che commerciali, oggi quanto mai preziosi perché in grado di rivelare gli spostamenti delle truppe russe in Ucraina. Per questo e per altri motivi il monitoraggio scrupoloso e continuo della spazzatura spaziale è diventato «componente essenziale delle infrastrutture critiche statunitensi - come ha dichiarato il generale James Dickinson, capo dell’Us Space Command - vitali per la sicurezza nazionale».

Fonte: Nasa

 

I pericoli per la Stazione spaziale internazionale

Le continue collisioni di oggetti spaziali abbandonati non sono solo frutto del caso. Nel novembre scorso, la Stazione spaziale internazionale ha dovuto cambiare rotta per evitare l’impatto con la massa di rottami provocata dal test cinese del 2007 di un missile anti-satellite.

Nello stesso anno, la Russia aveva lanciato un missile balistico per distruggere un vecchio satellite sovietico Kosmos, provocando una “nuvola” di 1.500 nuovi detriti destinati a restare per decenni nell’orbita bassa terrestre, con tutti i rischi del caso. Il mondo ha condannato la distruzione del Kosmos, che ha messo in pericolo da Stazione spaziale internazionale con i suoi astronauti (anche russi), ma Mosca ha respinto le accuse definendole «ipocrite». Il fatto, tra l’altro, ha ispirato il pluripremiato film “Gravity” del 2013 di Alfonso Cuaròn, con Sandra Bullock e George Clooney.

 

Le soluzioni per ripulire l’orbita terrestre

Il problema dello “space debris” va risolto subito, prima che diventi incontrollabile. Ma come fare? Le idee per fortuna non mancano. All’inizio del 2012 lo Swiss Space Center del Politecnico di Losanna ha annunciato la nascita del progetto CleanSpace1, nanosatellite sperimentale in grado di catturare i suoi simili in avaria facendoli “deorbitare”. Cinque anni dopo l’Esa ha staccato un assegno da 120 milioni di euro per la missione ClearSpaceOne, spinoff del progetto svizzero: il lancio è previsto nel 2025, con l’obiettivo di rimuovere dall’orbita terrestre un relitto da un quintale di una vecchia missione Vega. Intanto nel 2022 il satellite cinese SJ-21 ha catturato un rottame spaziale spostandolo in un’orbita a minor rischio di collisioni.

Ma forse la missione più intrigante è stata RemoveDEBRIS, un progetto del Surrey Space Centre in collaborazione con diversi partner tra cui Ariane e Airbus: il piccolo satellite europeo ha raggiunto la Stazione spaziale internazionale il 4 aprile 2018, dimostrando che è possibile rimuovere lo “space debris” con l’aiuto di reti e speciali arpioni. La tecnologia per ripulire l’orbita terrestre, insomma, è a portata di mano. Ora non resta che mettere mano al portafoglio e iniziare a lavorare seriamente.

 

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