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Sostenibilità

Perché i rating ESG vanno bene, ma una valutazione più approfondita è meglio


I controlli sulle credenziali delle aziende in ambito sociale, ambientale e di governance (ESG) non sono mai stati così stringenti come ai nostri giorni. Se consideriamo il potenziale danno d'immagine di una prestazione insufficiente sugli aspetti più caldi, i richiami degli organi di vigilanza in caso di politiche societarie non adeguate e i notevoli afflussi di denaro verso fondi sostenibili, nessuna società può permettersi di ignorare le considerazioni ESG.

Molte società integrano già da tempo i fattori ESG nei loro modelli di business, anche se non dichiarano espressamente input, processi e relazioni con il personale con il grado di approfondimento oggi richiesto. I manager di alcune aziende ci hanno rivelato che, fino a non molto tempo fa, evitavano intenzionalmente di fornire troppi dettagli sui progetti, temendo che ciò potesse ridurre il loro vantaggio competitivo, o perché i loro stessi clienti volevano restare anonimi.

Il crescente potere delle agenzie di rating ESG, che classificano le società esprimendo giudizi sulla bontà o inadeguatezza delle loro pratiche in ambito ambientale, sociale e di governance, spinge sempre più le aziende a pubblicizzare le proprie credenziali. Se ben fatta, l'adozione di standard ESG può risultare vantaggiosa per tutti gli stakeholder. Ma, purtroppo, non è sempre così immediato per un'azienda capire quali dati si debbano presentare, e il sistema di attribuzione punteggi lascia ancora molto a desiderare.

 

 

L'ascesa dei rating

Proprio come le classiche agenzie di rating analizzano i bilanci societari, così le agenzie di rating ESG valutano i dati relativi alle attività dell'azienda, e assegnano loro un punteggio.

Gli aspetti sui quali le aziende devono riportare dati ESG sono numerosissimi – in molti casi più di 100 – e oltretutto in costante crescita. Mancano però delle regole fisse e condivise da tutti, e spesso gli aspetti quantitativi si sommano a quelli qualitativi, per cui è molto facile che le società, in assenza di un modello standard, finiscano per omettere informazioni cruciali.

Al termine del processo di rating, le informazioni vengono condensate in tre punteggi, uno per ciascuno dei tre pilastri principali: ambito ambientale, ambito sociale e governance. Questi tre punteggi vengono poi normalmente riaccorpati in un singolo punteggio. Un approccio uguale per tutti. Si tratta di una questione estremamente rilevante per quei fondi d'investimento o investitori che possono investire solo in società che abbiano ottenuto un punteggio minimo. Pubblicare dati ESG incompleti o statistiche sbagliate, o addirittura omettere dei dati, può portare in ultima analisi all'attribuzione di un basso punteggio ESG, col rischio di essere ingiustamente puniti per carenze a livello di informativa.

BP e Shell pubblicano ogni anno rapporti di sostenibilità di centinaia di pagine, la cui realizzazione richiede enormi quantità di dati e ingenti risorse umane. In termini relativi, la necessità di pubblicare un numero sempre crescente di dati penalizza le società più piccole e con minori risorse, che non hanno disponibilità finanziarie sufficienti per ingaggiare un esercito di specialisti ESG con il compito di raccogliere, organizzare e pubblicizzare le loro credenziali di sostenibilità. All'opposto, vediamo aziende più piccole obbligate a condurre dispendiosi sondaggi sulla motivazione dei dipendenti, nonostante impieghino meno di 20 collaboratori, tutti nello stesso edificio.

Una conseguenza non voluta di questa crescente richiesta di dati ESG potrebbe essere la concentrazione degli investimenti sostenibili nelle società più grandi e con maggiori risorse, creando uno svantaggio competitivo alle aziende più piccole, che faticheranno ad attirare investimenti e, di conseguenza, non riusciranno a migliorare il costo del capitale proprio.

 

Semplice buon senso

Un'altra evidente pecca del sistema di attribuzione punteggi e classificazione delle aziende rispetto alle prassi ESG riguarda l'interpretazione dei dati forniti: che cosa dovrebbe dirmi il punteggio ESG? I due più gravi problemi dei nostri giorni sono probabilmente le emissioni di carbonio e il consumo idrico. L'acqua è una risorsa sempre più scarsa in molte parti del mondo, e le società si impegnano per estrarla e utilizzarla in modo più efficiente. Ma il calcolo dell'intensità idrica non è così semplice.

Un metodo diffuso per quantificare l'intensità idrica di un'azienda è il volume d'acqua utilizzato per unità di ricavi. Più acqua si utilizza per unità di ricavi, più aumenta l'intensità. Normalmente le aziende vengono classificate in base alla loro intensità idrica e, in sintesi, più sale il livello di intensità, peggiore sarà il punteggio assegnato all'azienda. Giusto? In realtà non è sempre così.

Le società con il più alto livello di intensità idrica sono in genere quelle specializzate nella distribuzione di acqua depurata, come Severn Trent nel Regno Unito. Severn Trent depura ed eroga due miliardi di litri di acqua potabile al giorno a 4,3 milioni di clienti.[1] In media ogni famiglia paga solo una sterlina al giorno per la sua fornitura d'acqua, grazie a un regime regolatorio gestito in modo rigoroso. Nel caso di Severn Trent, un'intensità idrica elevata non è certo un elemento di demerito – anzi, proprio il contrario.

Anche l'intensità di carbonio è spesso misurata con lo stesso metodo di calcolo impiegato per l'intensità idrica: la quantità di gas serra prodotti da un'azienda in rapporto ai suoi ricavi. Così, se una società dovesse aumentare i prezzi del 10%, la sua intensità di carbonio si abbasserebbe nominalmente del 9% – eppure quella società continuerebbe a produrre esattamente la stessa quantità di CO2.

Per una quantificazione più appropriata, si potrebbero considerare il consumo idrico o le emissioni di carbonio di base di una società, e seguirne il miglioramento o il peggioramento nel tempo. Si potrebbe anche misurare il consumo d'acqua e la produzione di CO2 rispetto agli altri operatori del settore e alle best practice, con l'obiettivo di penalizzare le imprese meno efficienti (un aspetto che viene trascurato se ci si limita ad analizzare il dato dei consumi/emissioni rispetto ai ricavi).

Quello che emerge da questi esempi è che, sebbene siano serviti a portare l'attenzione del management e degli investitori sulle questioni ambientali, sociali e di governance, se utilizzati da soli, i rating ESG non sono uno strumento molto efficace. Questi punteggi (proprio come i rating di credito o le raccomandazioni buy o sell su un titolo) devono sempre essere accompagnati da una approfondita ricerca, prima di prendere una decisione di investimento.

La buona notizia è che la maggiore attenzione su questi temi sta producendo evidenti vantaggi, specialmente in termini di miglioramento della sostenibilità ambientale delle società quotate. Le aziende misurano le proprie emissioni di carbonio e adottano misure per ridurre progressivamente la propria impronta ambientale. Si tratta indubbiamente di una buona notizia.

La comunità dei gestori di fondi può giocare un ruolo importante, in grado di orientare le future politiche ESG. A tal fine, dobbiamo accertarci che le nostre analisi e le nostre metodologie siano idonee allo scopo.

Come avviene per i cashflow e per i bilanci, gli investitori devono scavare a fondo per scoprire quali dettagli si celino dietro i punteggi ESG, e non prenderli per oro colato. Il punteggio ESG attribuito a una società, positivo o negativo che sia, dovrebbe essere il punto di partenza per ulteriori approfondimenti e, all'occorrenza, per un dialogo attivo con il management.

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