Il Covid mette al tappeto la demografia europea: aumentano i decessi, ma le culle restano vuote
I nuovi dati Eurostat confermano il pesante impatto della pandemia sul declino della popolazione continentale, ma alcuni Paesi si difendono meglio di altri.
I tempi in cui il Vecchio continente rappresentava la locomotiva demografica mondiale sono lontanissimi. Tra il 1750 e il 1913 la popolazione europea triplicò, passando da meno di 150 milioni di abitanti a quasi mezzo miliardo. Merito della rivoluzione industriale e di quella scientifica, spiega in un articolo il demografo Alessandro Rosina, in grado di arginare le grandi epidemie e diminuire la mortalità infantile, aumentando longevità e benessere. La pressione demografica aveva anzi portato gli europei a emigrare in massa in nuove zone del pianeta, in particolare le Americhe. E nel 1950, nonostante i lutti della Seconda guerra mondiale, tre Paesi del Vecchio continente (Germania, Gran Bretagna e Italia) si trovavano nella top ten demografica globale.
Gli over 75 in Europa sono quattro volte tanto rispetto al 1950
Oggi tutto è cambiato. Nella classifica demografica mondiale la Germania, Paese più popoloso della Ue, è scesa al 19° posto. In Europa gli over 75 sono quadruplicati dai 15 milioni del 1950 ai 65 milioni attuali, e sono destinati a superare quota 100 milioni prima del 2050. Quanto ai giovani, il declino degli under 25 è iniziato negli anni Settanta: allora erano 270 milioni (oltre il 40% del totale), oggi sono scesi sotto i 200 milioni (appena il 26%) e alla fine del ventunesimo secolo si ritroveranno poco sopra i 150 milioni (il 5% della popolazione giovane mondiale).
A peggiorare la situazione è arrivato il Covid, che da una parte ha svuotato le culle e dall’altra ha bloccato l’immigrazione extra Ue, da anni valvola di compensazione della denatalità europea. Come sottolinea uno studio di Population Europe, l’associazione degli istituti demografici continentali, nel lungo termine il tasso di fertilità scenderà ancora perché molte coppie preferiscono non avere figli in un quadro di rischi sanitari ed economici. Gli spostamenti intra-Ue continueranno a rimanere importanti, secondo Population Europe, grazie alla libera circolazione ma soprattutto alle differenze di competitività tra i vari Paesi.
Fonte: Eurostat
Il declino demografico continentale, infatti, anche prima della pandemia rappresentava una “media di Trilussa” tra alcuni Paesi con un solido tasso di fertilità e altri in evidente affanno. Un recente studio di Eurostat spiega in dettaglio cosa sta accadendo attraverso l’analisi del tasso di natalità grezzo, che mostra il numero di nati per mille abitanti. Nella Ue era 10,2 nel 2001, è salito a 10,6 nel 2008 e da allora è diminuito, fino a toccare 9,1 nel 2020: in quell’anno i tassi di natalità grezzi più alti si trovavano in Irlanda (11,2 nati vivi per mille persone), Cipro (11,1), Francia e Svezia (entrambi 10,9), i più bassi in Italia (6,8), Spagna (7,1) e Grecia (7,9). E se tra il 2001 e il 2020 alcuni Paesi hanno assistito a un aumento di oltre il 20% dei neonati (Svezia, Repubblica Ceca e Cipro), in altri due le culle si sono svuotate di circa il 25% (Italia e Portogallo). Dietro a queste performance così differenti ci sono politiche di sostegno alla famiglia a geometria variabile, che in Paesi come l’Italia andavano rafforzate da anni.
La differenza di competitività tra le diverse aree dell’Unione è evidente – secondo lo studio – anche nei movimenti interni di popolazione: i rumeni sono saldamenti al vertice della classifica dei cittadini Ue residenti in un altro Paese comunitario (con 3,1 milioni di persone, il 23% degli “emigranti” comunitari), seguiti dai polacchi (11,5%), dagli italiani (10,7%) e dai portoghesi (7,1%).
In Italia, tutti i parametri sono in discesa
La situazione italiana appare particolarmente grave: le nuove previsioni Istat modificano al ribasso tutti i parametri delle stime precedenti, dal numero medio di figli per donna alla speranza di vita alla nascita, arrivando a prevedere per il 2070 una popolazione totale di 47,6 milioni (contro i 59,6 attuali), un Mezzogiorno quasi dimezzato (da oltre 20 milioni a 13,6 milioni) e un’età media di quasi 51 anni. Nei prossimi trent’anni inoltre i cittadini in età lavorativa scenderanno dal 63,8% al 53,3% del totale, mettendo a rischio crescita, previdenza e conti pubblici.
Italia a parte, l’invecchiamento della popolazione europea è un dato di fatto generale, con luci e ombre a seconda delle aree geografiche. Un trend da gestire attraverso politiche di sostegno alla natalità e di gestione dell’immigrazione.
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