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Dalle fonti fossili alle rinnovabili: sei cose da sapere sulla transizione green


La crisi energetica ha accelerato il passaggio dal petrolio alle fonti pulite, indispensabili nella lotta contro il cambiamento climatico. Ma gli investimenti per la transizione green sono enormi e richiedono la collaborazione di tutti: Governi, imprese e cittadini.

La transizione energetica green non è una moda ma una rivoluzione: guidata dalla tecnologia, sta cambiando per sempre la società in cui viviamo, dall’economia alla finanza, dall’industria ai consumi. Il climate change rappresenta infatti una realtà con cui dobbiamo fare i conti ogni giorno. Gli eventi meteo estremi stanno diventando la norma, non l’eccezione. In Europa, la siccità che nel 2023 ha colpito Francia, Spagna e alcune regioni italiane si accompagna a micidiali alluvioni, come quelle che a maggio hanno colpito l’Emilia-Romagna.

Non c’è tempo da perdere, visto che il Programma per l’ambiente delle Nazioni Unite l’anno scorso ha scoperto che - anche mantenendo fede agli impegni nazionali già presi - ci stiamo pericolosamente avvicinando alla soglia di un riscaldamento globale di 2,6 gradi. Al tempo stesso, una ricerca pubblicata nel 2022 dall’Unicef rivela che se ogni abitante della Terra consumasse risorse al ritmo dei Paesi sviluppati, avremmo bisogno di 3,3 pianeti per soddisfare la domanda. La chiave per ridurre le emissioni? Una transizione energetica green, appunto. Vediamo di cosa si tratta.

 

 

1. Che cos’è la transizione energetica verde?

Transizione green significa passaggio da un sistema energetico globale di produzione e consumo basato sulle fonti fossili (come carbone, petrolio e gas) a rinnovabili come l’eolico, il solare, il fotovoltaico o le biomasse. La transizione green è guidata dalla tecnologia, per esempio con il miglioramento dei sistemi di immagazzinamento di energia, ma anche dalla sensibilità ambientale della società. Per realizzarla sono indispensabili massicci investimenti pubblici e privati verso business ESG (quelli che mettono al centro ambiente, funzione sociale e una governance equilibrata). Con l’European Green Deal, la Ue punta a diventare entro il 2050 il primo continente a zero emissioni.

 

2. Perché stiamo vivendo una crisi energetica?

Innescata dall’inflazione legata alla ripresa post Covid ma soprattutto dall’attacco russo all’Ucraina, la crisi energetica ha portato il prezzo del gas ai record storici e quello del petrolio ai massimi dal 2008. Come sottolinea un report dell’Agenzia internazionale dell’energia, i parallelismi della recente crisi con lo shock degli anni Settanta sono solo parziali: allora il boom dei prezzi aveva riguardato soltanto il petrolio, mentre oggi ha toccato tutte le fonti fossili.

L’attuale globalizzazione inoltre ha amplificato lo shock. Con un repentino cambio di politica energetica, l’Europa ha limitato al minimo l’import di idrocarburi russi, aumentando gli acquisti di gas da altri Stati come Algeria, Norvegia e Azerbaijan. Alcuni Paesi hanno riaperto vecchie miniere di carbone, altri hanno allungato la vita operativa di centrali nucleari destinate alla dismissione.

In generale, per molti Paesi il gas sta rappresentando un “ponte” a emissioni ridotte dal vecchio mondo delle fonti fossili più inquinanti a quello dell’energia pulita. Ma la crisi potrebbe accelerare lo sviluppo di rinnovabili tipo solare ed eolico, proprio come lo shock petrolifero degli anni Settanta trainò il nucleare.

 

3. Perché le fonti rinnovabili stanno diventando sempre più competitive?

I costi di produzione delle rinnovabili stanno scendendo in fretta. L’ultimo report annuale di Irena, l’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili, rivela come nel 2021 il prezzo di produzione degli impianti eolici onshore sia diminuito del 15% rispetto all’anno precedente, mentre quello dell’eolico offshore (le pale eoliche in mezzo al mare) e del solare sono calati del 13%. Dal 2010 al 2021 il costo dell’energia solare è precipitato dell’88%, quello dell’eolico onshore del 68% e quello dell’offshore del 60%. In Europa, solo tra gennaio e maggio 2022 l’elettricità prodotta da vento e sole ha evitato l’acquisto di carburanti fossili per 50 miliardi di dollari.

 

4. Quali sono le sfide legate alla transizione energetica green?

I carburanti fossili ancora oggi rappresentano fonti energetiche economiche. Possono essere trasportati e stoccati con facilità. Eolico e solare sono invece fonti intermittenti (se non c’è vento o sole la produzione si interrompe) e costose da immagazzinare. Per arrivare all’obiettivo delle emissioni zero sono quindi indispensabili enormi investimenti in generazione, stoccaggio, trasporto e distribuzione di energia da fonti rinnovabili. Secondo McKinsey, gli investimenti necessari sono pari ad almeno 2,4 trilioni di dollari solo nel quinquennio 2031-2035, con un conseguente aumento del costo dell’elettricità entro il 2040 di circa il 25% rispetto ai livelli del 2020.

Un’analisi di Severin Borenstein (Berkeley Haas School of Business) e Ryan Kellogg (University of Chicago Harris School of Public Policy) conferma come per mantenere la stabilità delle forniture in un sistema con approvvigionamenti intermittenti sia necessario investire in moderne reti di trasmissioni internazionali e in sistemi avanzati di stoccaggio, in grado di compensare le fluttuazioni di domanda e offerta.

 

5. Qual è l’impegno della COP26 in fatto di riduzione delle emissioni di metano?

La COP 26 (la Conferenza dell’Onu sui cambiamenti climatici) del novembre 2021 si è impegnata entro il 2030 a diminuire del 30% le emissioni di metano rispetto ai livelli del 2020. A firmare l’accordo sono stati 111 Paesi, responsabili del 45% delle emissioni globali di metano provocate dall’uomo: tra questi ci sono grandi consumatori come l’Unione europea, il Giappone e la Corea del Sud ma anche produttori come l’Arabia Saudita e l’Iraq. Il taglio delle emissioni è importante per rallentare l’innalzamento della temperatura, nella speranza di poter restare entro l’aumento di 1,5 gradi previsto dalla COP 26. Purtroppo all’accordo non hanno aderito Cina, India e Russia.

Attenzione, poi, perché non tutti i Paesi firmatari partono dallo stesso livello. Tra i più virtuosi vanno ricordati l’Olanda, che ha già tagliato le proprie emissioni di metano del 70% rispetto al 1990, e il Canada, che ha annunciato un piano per ridurle di almeno il 75% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2012. Per altri Stati (come la Nigeria, l’Iran e l’Indonesia) la realizzazione degli obiettivi della COP26 resta più incerta.

 

6. Perché nella lotta al climate change è così importante la collaborazione di tutti?

Non esiste un Governo o un’organizzazione in grado di risolvere il problema del cambiamento climatico da solo. Le dimensioni dell’emergenza e la necessità di agire subito impongono la condivisione di risorse, investimenti, conoscenza e strategie. Non è un caso che gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu richiedano partnership a tutti i livelli per la transizione all’economia circolare.

Il report The Race to Net-Zero di BakerMcKenzie rivela che il 73% dei business leader è disposto a collaborare con i concorrenti per vincere le sfide del cambiamento climatico. E’ però anche vero che - sempre secondo il report, citato in un’analisi del World Economic Forum - nessuna impresa è disposta ad accettare perdite di fatturato superiori al 30% per dotarsi di catene di fornitura a emissioni zero. Anche sul fronte della collaborazione internazionale, insomma, si può fare di più.

 

Fonte: International Energy Agency, marzo 2023

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