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Plastica nel mare: quali rischi per la nostra salute?


Negli ultimi 40 anni la plastica negli oceani è aumentata in modo vertiginoso. I frammenti di plastica che galleggiano in superficie, secondo uno studio recente, sono oltre 170.000 miliardi: un enorme pericolo per l’ecosistema marino e un’incognita sulla nostra salute (visto che finiscono anche nel nostro corpo).

Si calcola che gli oltre 170.000 frammenti di plastica che galleggiano sulla superficie del mare abbiano un peso complessivo di 2,3 milioni di tonnellate e il ritmo con cui arrivano in acqua potrebbe quasi triplicare entro il 2040.

 

Fonte: Plos One

Sono stime terrificanti, specie se si pensa alle conseguenze che questo mare di plastica ha sulla nostra salute. Alcuni anni fa, i ricercatori  dell’Università di Newcastle, in Australia, hanno lanciato un allarme e, usando una metafora decisamente “indigesta”, hanno detto che è come se ogni settimana ogni abitante del pianeta ingerisse una carta di credito del peso di cinque grammi.

L’inquinamento da plastica è diventato una delle principali emergenze ambientali globali, perche’ le microplastiche non solo distruggono l’ecosistema marino, ma finiscono nel nostro organismo. In parte per restarci, come ha rivelato uno studio dell’American Chemical Society, che ha trovato microplastiche nei tessuti umani e in organi come fegato, milza, reni e polmoni.

 

Cosa sono e come arrivano a noi

Le microplastiche sono frammenti di dimensioni inferiori ai 5 millimetri di diametro; quando il diametro scende a meno di 0,001 millimetri si tratta di nanoplastiche. Come fanno a disperdersi nel mare? Con la degradazione di sacchetti e bottigliette, certo, ma anche per esempio con il lavaggio di capi sintetici o l’abrasione dei pneumatici, come spiega un’analisi del Parlamento europeo.

Secondo una stima delle Nazioni Unite, negli oceani ci sono qualcosa come 51mila miliardi di particelle di microplastica, 500 volte le stelle della nostra galassia. Se i numeri sono questi, non è difficile capire come fanno i polimeri ad arrivare, attraverso la catena alimentare, alla nostra forchetta. E non lo fanno solo attraverso il pesce che abbiamo nel piatto: le microplastiche sono presenti in prodotti apparentemente insospettabili come birra, miele, zucchero, pane e acqua del rubinetto, perché viaggiano anche in aria oltre che in acqua. Persino le salubri frutta e verdura le contengono, come ha dimostrato un’analisi dell’Università di Catania condotta su vegetali edibili come patate, carote, lattuga, broccoli, mele e pere: la contaminazione media è pari a 223mila particelle per grammo nella frutta e quasi 98mila nella verdura.

 

Fonte: Human Consumption of Microplastics, Environmental Science & Technology

 

L’impatto sulla salute

Impossibile restare indifferenti al gravissimo problema dell’invasione della plastica, gettata via ovunque nel nostro pianeta, sia per terra e sia in acqua. Ma questo disastroso inquinamento da plastica non è solo dannoso per l’ambiente, lo è anche per la nostra salute. Come ha confermato uno studio dell’American Chemical Society, il nostro corpo è pieno di microplastiche, a partire dagli organi che più si prestano a trattenerle e filtrarle, come fegato, milza, reni e polmoni. In particolare, è stato trovato quasi dappertutto bisfenolo A, ma anche polietilene, polietilene tereftalato e policarbonato. Gli effetti sulla nostra salute sono ancora sconosciuti, spiega l’analisi del Parlamento europeo, ricordando però che la plastica contiene additivi come stabilizzatori, materiali infiammabili e altre sostanze chimiche tossiche in grado di rappresentare un potenziale pericolo sia per gli animali che per gli esseri umani.

 

La lotta alle microplastiche

Come combattere l’assedio della plastica? In questo campo l’Unione europea si comporta meglio di altri Paesi, con un inquinamento da micropolimeri inferiore per esempio a quello di Stati Uniti o India, spiega la ricerca della Newcastle University. Ma di strada da fare ce n’è ancora molta, se è vero che dei 25 milioni di tonnellate di rifiuti plastici prodotti ogni anno dal Vecchio continente ne viene riciclato meno del 30%. Troppo poco. Anche perché la produzione e lo smaltimento di plastica, a livello mondiale, ha un impatto ambientale stimato in 400 milioni di tonnellate di CO2 l’anno. Per cercare di risolvere il problema, nel gennaio 2018 Bruxelles ha adottato la sua prima Strategia europea per la plastica in un’economia circolare, che promuove un approccio sostenibile nella produzione e nell’utilizzo quotidiano. A partire dalle vecchie buste usa e getta della spesa, sostituite da quelle in plastica biodegradabile e compostabile per i sacchetti più piccoli e da una percentuale di materiali riciclati per quelli più pesanti. Per continuare con le campagne per la riduzione della plastica monouso, per esempio attraverso l’utilizzo di borracce di metallo o posate di legno. Ma la Strategia europea, che contribuirà a raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile 2030, mira anche a sostenere finanziariamente il riciclo di plastica e a dotare i grandi porti di infrastrutture per gestire i rifiuti prodotti dalle navi. Nella speranza, un giorno, di non essere più costretti a mangiare una carta di credito alla settimana.

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