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Così la nuova middle class asiatica traina i consumi mondiali


Dall’automotive all’e-commerce, dal turismo alle università e al lusso: in Asia l’avvento della classe media ha moltiplicato le opportunità di business per i grandi brand occidentali.

Il secolo d’oro dell’Asia è già iniziato. Forte della potenza di Cina e India ma non solo, il continente asiatico ha superato la metà della popolazione mondiale e ospita la metà della middle class mondiale. Stando alle stime del Financial Times, l’Asia possiede un’economia più potente di quella del resto del mondo messo assieme: se consideriamo il Pil a parità di potere d’acquisto, infatti, il Fondo monetario internazionale rivela che la Cina ha già superato gli Stati Uniti e l’India si posiziona al terzo posto, con un prodotto interno lordo che è il doppio di quello di Germania e Giappone. Sempre in termini di parità di potere d’acquisto, l’Indonesia è diventata la sesta potenza mondiale (prima di Francia, Gran Bretagna e Italia) mentre il Vietnam ha superato Svizzera e Olanda.

 

Un miliardo di nuovi consumatori

La middle class asiatica è di conseguenza destinata a trainare la domanda globale, diventando il perno dell’economia del pianeta. Dal 2009 a oggi, Cina e India hanno contribuito con oltre un miliardo di individui alla nuova classe media mondiale e in futuro si stima che dei nuovi “middleclasser” nove su dieci saranno asiatici. Anche secondo un recente studio della Banca Mondiale e di Brookings basato sulle proiezioni del World Data Lab, nel 2024 metà degli asiatici apparterrà alla classe media (in grado di spendere da 12 a 120 dollari del 2017 a parità di potere d’acquisto) o a quella più benestante (che supera la soglia giornaliera dei 120 dollari).

 

Joint venture a quattro ruote

Tutto questo naturalmente si traduce in enormi opportunità di business per l’Occidente. Prendiamo per esempio la Cina. Dal 2008 il Dragone è leader mondiale nella produzione di auto: le vendite sono aumentate ininterrottamente per 26 anni fino al 2017. La lieve flessione degli ultimi anni non deve far dimenticare che la superpotenza asiatica produce un terzo delle vetture globali, più di Stati Uniti e Giappone messi assieme (oppure dell’Europa). Tutti i grandi costruttori occidentali si sono tuffati da anni a suon di joint ventures nell’oceano di questo mercato immenso: da Volkswagen e Mercedes a Bmw, da General Motors a Ford, da Stellantis a Renault-Nissan, solo per citare i principali gruppi.

 

L’e-commerce asiatico doppia quello Usa

Lo sviluppo di Internet ha poi dato vita a un e-commerce colossale di cui Alibaba è solo la punta dell’iceberg: secondo Statista il commercio digitale asiatico ormai genera ricavi per 1534 miliardi di dollari l’anno, quasi il doppio degli Stati Uniti, oltre sei volte il giro d’affari di Germania e Francia messe assieme. Ma la rivoluzione digitale ha anche trainato il boom mondiale di social media come TikTok, capace di mettere seriamente in difficoltà il modello di business targato Meta-Facebook, sviluppando tra l’altro nuovi modelli di social commerce (il cosiddetto “shoppentertainment”).

 

Università straniere e viaggi in Europa

Anche sul fronte dell’education e del turismo la Cina è una miniera d’oro per l’Occidente. Gli studenti del Dragone finiti in università estere (soprattutto statunitensi, australiane e britanniche) sono passati dai 285mila del 2010 ai 662mila del 2018.

Nel settore turismo la spesa annua dei cinesi per viaggi all’estero è esplosa dai 14,2 miliardi di dollari del 2000 ai 254,6 miliardi del 2019, un quinto del totale mondiale (dati World Tourism Organisation Onu). Dopo l’Asia il continente più visitato è l’Europa, dove l’Italia si posiziona molto bene: secondo uno studio di Unindustria, Roma e Milano sono rispettivamente al nono e decimo posto nella top ten delle città più gettonate tra il 2017 e il 2018. Il coronavirus aveva azzerato i flussi turistici, ma ora i cinesi stanno ripartendo: entro il 2024 i viaggi oltreconfine dovrebbero tornare ai livelli pre-pandemia (secondo stime Economist Intelligence Unit).

 

A tutto luxury

Il boom dei consumi asiatici è una benedizione anche per il settore del lusso. Uno studio di Bain rivela che alcuni brand occidentali hanno chiuso il 2020, l’anno della pandemia, con una crescita nella sola Cina del 70% (dovuta al divieto di viaggiare all’estero e quindi all’azzeramento dello shopping in terra straniera): a beneficiarne sono stati soprattutto gli articoli in pelle, ma anche gioielli e profumi.

Si prevede che entro il 2050 l’Asia peserà per la metà del mercato del lusso mondiale, con Europa e Americhe in calo al 22-24% ciascuna. In Cina Shanghai, Pechino e Shenyang sono destinate a diventare i punti di riferimento dello shopping asiatico di fascia alta, seguite da Shenzhen, Guangzhou e Xiamen. Da tenere d’occhio anche il resto dell’Asia, in particolare un Vietnam dalla middle class giovane e il Medio Oriente, tutte regioni dove c’è una minor densità di luxury shops rispetto a Stati Uniti ed Europa.

 

Fonte: stime Brookings Institute.

 

I mille volti della classe media asiatica

Attenzione però perché il nuovo benessere asiatico ha mille sfumature. Secondo uno studio di Caixa, la middle class cinese ha un potere di spesa del 30% superiore a quella indiana, ma nel Subcontinente è più giovane (nel 2030 sarà composta soprattutto di persone tra i 20 e i 45 anni) rispetto a quella del Dragone (dove lo scaglione di età 45-65 anni è destinato a essere il più rappresentato). Tutto questo si traduce in diversi stili di vita e di consumo che i grandi brand occidentali dovranno attentamente monitorare, per continuare a fare affari d’oro nell’Asia dei nuovi ricchi.

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