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Donne e lavoro: perché senza gender gap saremmo più ricchi di 28 trilioni di dollari


Nel mondo solo la metà della popolazione femminile in età lavorativa riesce a conquistare un impiego: un suicidio economico, anche perché le donne generano valore portando sul posto di lavoro idee e soluzioni complementari a quelle maschili. Ecco come cercare di ridurre il gender gap (diventando tutti più ricchi).

 

La forza lavoro mondiale è potenzialmente di circa 5 miliardi di persone. Le donne rappresentano quasi la metà del totale, ma solo il 50% riesce effettivamente a conquistare un impiego (contro l’80% degli uomini). McKinsey, nel suo “Women Matter: Ten years of insights on gender diversity”, sottolinea come le donne generino a livello globale appena il 37% del Pil, pur essendo la metà della popolazione. Peraltro con rilevanti differenze tra le diverse macroregioni: se in Nordamerica, Oceania, Europa Orientale e Cina la quota di Pil femminile oscilla intorno al 40-41% del totale, questa scende al 38% in Europa occidentale e precipita al 18% in Medio Oriente, con l’India fanalino di coda (17%).

Numeri che rappresentano un vero e proprio suicidio economico. Decine di analisi e ricerche in ogni campo, dalla macroeconomia alla demografia, dalla finanza alla sociologia, ripetono da decenni che abbattere il gender gap significherebbe aumentare ricchezza e benessere per tutti, non solo per le donne. Un interessante studio del Fondo monetario internazionale (“Economic Gains From Gender Inclusion: New Mechanisms, New Evidence”), per esempio, nota come in Irlanda la partecipazione femminile al mercato del lavoro sia aumentata del 25% dal 1990, contribuendo all’eccezionale crescita del paese. In Egitto la crescita è invece rimasta al palo: solo il 16% delle donne in età lavorativa riesce a conquistare un impiego nel Paese nordafricano. Il risultato è una “tassa occulta” enorme. Se infatti non esistesse alcun gender gap, l’Egitto avrebbe un Pil del 60% maggiore e un miglioramento molto rilevante del welfare (+25% rispetto a oggi).

Le cifre di una crescita mancata

In un celebre e monumentale studio di qualche tempo fa (“The Power of Parity”), McKinsey ha rivelato che senza il gender gap il Pil globale crescerebbe di colpo di qualcosa come 28 trilioni di dollari (+26%), cifra stratosferica che - come sottolinea il report - equivale al prodotto interno lordo di Stati Uniti e Cina messi assieme. In uno scenario meno estremo, quello “regionale” in cui tutte le economie di un continente riescono ad allinearsi al Paese dove il gender gap è minore, l’incremento del Pil globale sarebbe di 12 trilioni di dollari (+11%), pari al prodotto interno lordo di Germania, Giappone e Gran Bretagna messe assieme. E il bello è che, come sottolinea il Fondo monetario, anche gli uomini guadagnerebbero da una maggior partecipazione femminile al mercato del lavoro, perché «un aumento della produttività si tradurrebbe in un incremento dei salari per tutti».

Qui in ballo non c’è solo la quantità della popolazione lavorativa, ma anche la qualità. Come spiega un altro studio del Fmi (“Closing the Gender Gap”), uomini e donne portano nel mondo del lavoro approcci, idee e soluzioni differenti, generando una “diversity” che ha un enorme valore economico. Diversi studi scientifici hanno dimostrato che il gentil sesso è più avverso al rischio e meno competitivo. E non è un caso che i consigli d’amministrazione di imprese e banche in cui i due generi sono equilibrati mostrino una maggior stabilità finanziaria, più liquidità in cassa, minori sofferenze, e in generale una buona resilienza a stress esterni. «Avere più donne nel top management contribuisce alla diversità e complementarietà di pensiero, portando a un miglior decision making», spiega il Fondo monetario.

Eppure il mondo - in particolare i Paesi in via di sviluppo - continua a ignorare talento e potenzialità femminili, con il risultato di sprecare enormi potenzialità (perdendo ricchezza). Sembra incredibile, ma nel Terzo Millennio esistono ancora 18 Stati in cui un marito può legalmente impedire alla moglie di lavorare. In ben 104 Paesi alle donne è vietato svolgere alcune professioni, mentre in 59 Stati non esiste alcun tipo di tutela normativa contro le molestie sessuali sul posto di lavoro.

Fonte: stime Fondo monetario internazionale

Come ridurre il gender gap sul lavoro

Ridurre il gender gap lavorativo è ormai un imperativo, soprattutto nei Paesi sviluppati la cui ricchezza è minacciata da una demografia stagnante. Ma come muoversi? In “Closing the Gender Gap” il Fondo monetario ha messo nero su bianco una precisa roadmap. Le economie avanzate devono innanzitutto equiparare i congedi di maternità e di paternità, come accade da tempo per esempio in Svezia, ma anche abbattere il costo degli asili nido (secondo alcuni studi, un taglio del 50% delle rette aumenta del 10% la partecipazione delle giovani madri al mercato del lavoro). Molto efficace è pure la leva fiscale, ovvero il taglio delle tasse per le donne lavoratrici in famiglie a basso reddito, potente incentivo a restare nel mondo del lavoro.

Le pari opportunità sono fondamentali anche a scuola e nelle università, in modo da creare una forza lavoro femminile al passo con le richieste delle imprese, in un contesto di formazione continua (prendendo esempio dagli incentivi fiscali per il lifelong learning di Olanda e Francia) e di “quote rosa” nei board aziendali, stile scandinavo. E naturalmente è indispensabile un welfare in grado di proteggere e riqualificare professionalmente le lavoratrici, che in generale hanno impieghi più precari, discontinui e malpagati di quelli degli uomini. Esiste persino un “gender digital divide”, sottolinea il Fmi, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo: le donne che hanno accesso a Internet sono 250 milioni meno degli uomini.

«Da piccole ci ripetevano che avremmo potuto raggiungere qualsiasi obiettivo, che nessuna barriera sarebbe stata insormontabile - scrivono all’inizio di “Closing the Gender Gap” Era Dabla-Norris e Kalpana Kochhar, le ricercatrici indiane autrici dello studio del Fmi - . Poi abbiamo scoperto che la parità di genere non era un tratto distintivo della middle class indiana in cui siamo cresciute. Avevamo sempre pensato che il gender gap fosse una questione di giustizia sociale. Solo scrivendo questa ricerca abbiamo capito che è anche un grande problema economico». Aprire le porte del lavoro alle donne rappresenta allo stesso tempo un imperativo di civiltà e un quarto della ricchezza mondiale da distribuire a tutti. Non c’è un minuto da perdere.

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