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Miliardi di asiatici nella “middle class” dei consumi globali: quale impatto sulla sostenibilità?


L’Asia sta sconfiggendo la povertà: nel 2030 ben il 70% della popolazione apparterrà alla classe media, contro il 15% del 2000. Ma quali sono le ricadute sull’ambiente di miliardi di persone sempre più votate ai consumi?

Il baricentro dei consumi si sposta a Oriente: l’Asia sta diventando più ricca. E la sua “middle class” ormai si è trasformata in un esercito di miliardi di persone, che si ingrossa ogni anno. Secondo un recente studio della Banca Mondiale e di Brookings basato sulle proiezioni del World Data Lab, nel 2024 metà degli asiatici apparterranno alla classe media (ovvero quella in grado di spendere ogni giorno da 12 a 120 dollari del 2017 a parità di potere d’acquisto) o a quella benestante (che supera la soglia quotidiana dei 120 dollari). Un’autentica rivoluzione. Per la prima volta nella storia, la “consumer class” del continente asiatico supererà la popolazione povera.

Come ricorda un’analisi di McKinsey, nel 2000 solo il 15% della popolazione asiatica si poteva considerare “consumista”, ovvero in grado di spendere più di 12 dollari al giorno a parità di potere d’acquisto. Miliardi di persone vivevano nella povertà più assoluta. In trent’anni sta accadendo il miracolo: nel 2030, si prevede che la “consumer class” asiatica sarà passata dal 15% al 70% della popolazione.

 

Le tre fasi del “miracolo” asiatico

L’evoluzione del benessere mondiale si è articolata in tre fasi, spiega lo studio di Banca Mondiale e Brookings. Fino al 2000, la “consumer class” contava 1,7 miliardi di persone, quasi tutte nei Paesi sviluppati (in particolare occidentali). All’altezza del 1980, il 70% dei consumatori si concentrava negli Stati Ocse.

Dal 2000 al 2020 si passa a una seconda fase, in cui l’Asia orientale - e in particolare la Cina - entra in forze nella “global consumer class”, che si gonfia fino a sfiorare quasi 4 miliardi di persone. I rapporti di forza cambiano in fretta, e nel 2020 l’Asia pesa per ben il 50% della consumer class globale, mentre la quota dei Paesi Ocse si dimezza dall’80% di quarant’anni prima al 40%.

La terza fase, che stiamo vivendo in questo decennio, vedrà il decollo del benessere nell’Asia meridionale. In particolare India, Pakistan e Bangladesh. Entro il 2030, questa macroregione asiatica conterà per ben il 40% della nuova consumer class, che arriverà a superare cinque miliardi di persone a livello globale.

Le più recenti previsioni del Fondo monetario internazionale confermano la forza dell’economia asiatica: nel prossimo anno il Pil dell’India crescerà di oltre il 6%, quello dei Paesi ASEAN (Indonesia, Malesia, Filippine, Singapore e Thailandia) di quasi il 5% e quello cinese del 4,4%. Buoni numeri rispetto all’1% statunitense e al mezzo punto dell’Eurozona, dove per Germania e Italia si prevede addirittura una recessione.

 

Fonte: Fondo monetario internazionale, Outlook ottobre 2022.

(*) ASEAN 5 = Indonesia, Malesia, Filippine, Singapore e Thailandia.

 

Come nell’Italia del Boom economico

Attenzione però, perché i nuovi consumatori asiatici sono profondamente diversi da quelli occidentali. A dominare l’Oriente è la “lower middle class”, quella in grado di spendere tra i 12 e i 40 dollari al giorno: persone che per la prima volta nella loro vita si possono permettere l’acquisto di un frigorifero o di una moto, come nell’Italia degli anni Cinquanta. La classe media asiatica non è particolarmente ricca, quindi, ma numericamente enorme: secondo lo studio di Banca Mondiale e Brookings supera 1,7 miliardi di persone, pari a due terzi del totale mondiale di questo segmento. Invece l’Asia pesa solo per il 40% della middle class globale vera e propria (tra 40 e 120 dollari di spesa giornaliera) e appena per il 14% dei benestanti mondiali, quelli in grado di destinare più di 120 dollari ai consumi quotidiani.

 

L’impatto ambientale: i gas serra cinesi

La conquista del benessere, in Asia, sta però costando cara in termini di impatto ambientale. Uno studio di Rhodium Group ha rivelato che nel 2019 la sola Cina ha prodotto il 27% dei gas serra mondiali, più di tutti i Paesi sviluppati messi assieme. Un record. Gli Stati Uniti arrivano a malapena all’11% delle emissioni, l’India appena al 6,6%. In soli trent’anni le emissioni cinesi di CO2 sono triplicate. E aumenteranno ancora almeno fino al 2030, con l’obiettivo di raggiungere il traguardo delle “zero emissioni” non prima del 2060. Difficile, infatti, smantellare in tempi brevi un sistema energetico che conta ancora oltre mille miniere di carbone. Lo dimostra il fatto che al COP26 di Glasgow, la conferenza Onu sul climate change, Cina e India non abbiano firmato lo stop all’energia prodotta con il carbone.

 

India e Cina assetate di “oro blu”

Un altro punto dolente riguarda i consumi idrici, dove alla voracità cinese si aggiunge quella indiana. Sì perché proprio il Subcontinente è il maggior utilizzatore mondiale di acqua: con un’estrazione nel 2020 di quasi 245 miliardi di metri cubici si rivela più “assetato” di Cina e Stati Uniti messi assieme. Ma l’acqua di falda inizia a scarseggiare e il 63% dei distretti indiani segnala problemi nell’approvvigionamento di “oro blu”.

L’estate più arida e rovente degli ultimi quarant’anni ha riportato in primo piano l’allarme acqua anche in Cina. Qui il climate change (con ondate di siccità che hanno colpito 2,2 milioni di ettari di terreni agricoli abitati da 900 milioni di persone) è solo l’ultima sorpresa del mix letale che porta l’ex Celeste Impero dritto nell’emergenza idrica. A contribuire sono anche la crescita demografica, l’urbanizzazione, l’impennata dei consumi, l’inquinamento delle acque e - last but not least - uno storico squilibrio territoriale: la parte nord del Paese, quella agricola, è anche la più colpita dalla siccità, mentre al Sud abbondano le alluvioni.

Il risultato è che nel 2030 la domanda idrica cinese potrebbe superare la cifra record di 800 miliardi di metri cubici. Sarà quasi impossibile riuscire a soddisfarla, visto che le riserve garantite dalle falde stanno diminuendo di anno in anno. E che il climate change potrebbe peggiorare ulteriormente la situazione. Difficile in questo contesto dormire sonni tranquilli, anche se si fa parte della nuova “consumer class” asiatica.

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