Né al lavoro né in pensione: negli Usa due milioni di “scomparsi”. E da noi?
Un’analisi di Bank of America rivela: oltreoceano due milioni di persone sono sparite dal mondo del lavoro. E non si tratta solo di giovani. Intanto il fenomeno della Great Resignation continua, anche in Italia dove si affianca al “Quiet Quitting”.
Negli Stati Uniti sono scomparsi due milioni di lavoratori. A rivelarlo è un’analisi di Bank of America (“Understanding the missing milions”), basata su fonti istituzionali ma anche sui big data dei clienti del colosso bancario che hanno smesso di ricevere l’accredito dello stipendio sul conto. Secondo il report non si tratta di giovani della Gen Z, ma di lavoratori più attempati che assieme a Millennials e Gen X stanno abbandonando occupazioni a reddito mediobasso, come quelle nell’ambito retail o della ristorazione. Un fenomeno importante, spiegano gli economisti di Bank of America, perché se questi due milioni di “scomparsi” un giorno dovessero ripresentarsi sul mercato del lavoro contribuirebbero a frenare la corsa dei salari, raffreddando l’inflazione.
Addio alle “pantere grigie”
Vediamo un po’ di dati. Secondo il Bureau of Labor Statistic, il tasso di partecipazione al mercato del lavoro statunitense oggi rimane circa un punto percentuale più basso rispetto a un anno fa. Si tratta, appunto, di circa due milioni di lavoratori. Che fine hanno fatto? Un’analisi sui clienti di Bank of America rivela che i “desaparecidos” rappresentano il 30% della generazione “Tradizionalista” (i nati tra il 1928 e il 1945) e il 23% dei Baby Boomer (nati tra il 1946 e il 1964): percentuali molto più alte di quelle fisiologiche dovute al trend dei pensionamenti.
Ma a mancare all’appello sono anche il 13% dei Gen X (nati tra il 1965 e il 1980) e l’11% dei Millennials (dal 1981 al 1996), in buona parte appartenenti a segmenti di reddito mediobassi legati a ristorazione e retail, cioè a settori duramente colpiti dalla pandemia: quando c’è stata la riapertura generale post Covid, questi ex dipendenti lasciati a casa hanno deciso di non tornare a timbrare il cartellino. All’esatto opposto, i settori che hanno perso meno lavoratori sono quelli ad alto valore aggiunto come l’informatica, il biotech o la farmaceutica.
Già nel febbraio 2022, uno studio della Federal Reserve di Saint Louis si chiedeva dove fossero finite 2,4 milioni di persone che dopo il Covid non erano né tornate nel mondo del lavoro né andate in pensione. Un’analisi del Census Bureau, il servizio statistico, ipotizza che una buona parte abbia abbandonato il posto per problemi di salute, con malattie non curate a dovere dal sistema sanitario statunitense.
Tra long Covid e assistenza a bambini o anziani
I motivi della scomparsa di oltre due milioni di lavoratori americani restano comunque poco chiari. A sua volta il report di Bank of America chiama in causa problemi di salute legati al long Covid (il “trascinamento” per mesi dei sintomi del coronavirus), ma anche piaghe strutturali della società americana come l’obesità, l’alcolismo o l’uso di droghe. Alcuni dei “desaparecidos” sono probabilmente restati a casa anche per badare ai figli piccoli (con la fiammata dell’inflazione il costo degli asili e dei nidi è aumentato del 10%) o agli anziani non autosufficienti.
Le migrazioni in luoghi meno costosi
Tra le cause di questa silenziosa Great Resignation c’è probabilmente anche l’effetto migrazioni legato al Covid: durante la pandemia infatti, spiega il report di Bank of America, milioni di americani hanno abbandonato le costose aree metropolitane di New York, del Massachusetts e della California per spostarsi in località dove il costo della vita è più ragionavole. In questo modo hanno potuto arginare la vampata dell’inflazione e diminuire l’orario di lavoro. Oppure azzerarlo del tutto, entrando nell’esercito degli oltre due milioni di “desaparecidos” statunitensi.
Great Resignation in lento calo
Intanto i numeri della Great Resignation restano alti. E’ vero che gli ultimi dati del Job Openings and Labor Turnover Survey, quelli relativi a marzo, mostrano un lieve rallentamento nella massa di dimissioni, scese sotto la soglia psicologica di quattro milioni di unità. Un calo in realtà fisiologico, come sottolinea Anthony Klotz, il docente dell’University College of London che coniò il termine “Great Resignation” nell’aprile 2021: il carovita, il miglioramento delle condizioni lavorative offerte dalle imprese e un mercato occupazionale meno surriscaldato dovrebbero rallentare la corsa delle dimissioni volontarie, spiega l’economista.
Il sogno delle dimissioni
Il fascino della Great Resignation resta comunque intatto. Un recente sondaggio di LinkedIn rivela che quest’anno quasi il 70% di Gen Z e Millennials stanno pianificando di abbandonare il proprio posto di lavoro. Stiamo parlando delle generazioni più istruite nella storia degli Stati Uniti, con ben il 63% dei Millennials che ha una laurea in tasca e il 57% dei GenZer over 16 che frequenterà un college.
In Italia caccia a stipendi migliori e flessibilità
E nel nostro Paese? I numeri sulla Great Resignation diffusi di recente dall’Osservatorio HR Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano non hanno nulla da invidiare a quelli americani. Negli ultimi 12 mesi l’8% dei lavoratori italiani ha cambiato volontariamente posto per aver ricevuto un’offerta, e il 3% lo ha fatto senza avere in tasca nemmeno un’alternativa al momento delle dimissioni. Il 12% ha intenzione di lasciare entro i prossimi sei mesi e il 23% di andarsene tra 12 e 18 mesi.
Ci si licenzia soprattutto per avere un miglior stipendio, ma anche per ottenere più flessibilità o per problemi relazionali con capi, colleghi e collaboratori. Tuttavia chi cambia posto non sempre trova quello che cerca e nel 41% dei casi si pente della propria scelta: è il fenomeno conosciuto negli Stati Uniti come “Great Regret”, che nel nostro Paese caratterizza soprattutto gli uomini ultracinquantenni.
Il fenomeno dei “Quiet Quitter”
Altro trend emergente a livello globale è quello dei cosiddetti “Quiet Quitter”: in Italia ben il 12% dei lavoratori (circa 2,3 milioni di persone) oggi si limita a fare il minimo indispensabile, perché non si sente valorizzato e non viene coinvolto emotivamente nelle attività lavorative. Il risultato è che i “quitters” hanno deciso di “spegnersi”, utilizzando al minimo le proprie energie.
Alla ricerca della felicità
Non sorprende quindi che oggi solo il 7% dei lavoratori italiani dichiari di considerarsi “felice”. Soltanto l’11% della forza lavoro tricolore ritiene di essere appagato in tutte e tre le dimensioni del benessere lavorativo: psicologica, relazionale e fisica. In questo mercato così travagliato le criticità non mancano anche lato imprese. Secondo lo studio del Politecnico il 59% dei datori di lavoro prevede una crescita dell’organico nel 2023, ma il 94% ha difficoltà ad assumere nuovo personale. Una difficoltà che riguarda soprattutto i professionisti del digitale ma non solo, perché scarseggiano anche profili tecnici, operai e manutentori.
Fonte: Bank of America, 23 febbraio 2023
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