Recessione: e se fosse un “no landing”?
Storicamente, l’esito della guerra tra Fed e inflazione è stata la recessione. E se stavolta fosse diverso? Se non avessimo recessione e nemmeno “soft landing”? Negli Stati Uniti, i dati macro sembrano contraddire qualsiasi previsione di recessione e l’ipotesi di un “no landing” appare oggi meno pazzesca. In questo quadro, ha senso aggiungere rischio in portafoglio?
Nel 2022 si è parlato molto di recessione, o “hard landing”, ovvero uno scenario in cui per abbassare l’inflazione, la Federal Reserve (Fed) alza i tassi d’interesse fino a provocare una recessione, facendo aumentare la disoccupazione. Oggi, di fronte a dati macro che contraddicono le previsioni più pessimistiche per l’economia americana, un numero sempre maggiore di analisti ha abbracciato uno scenario di “soft landing”, che è il target della banca centrale americana, oppure di “no landing”, che fino a qualche mese fa sembrava un’ipotesi pazzesca.
Ci troveremmo in uno scenario di “soft landing” se la Fed riuscisse ad abbassare l’inflazione senza far aumentare enormemente la disoccupazione o causare una recessione. Invece, uno scenario di “no landing” si configurerebbe se l’economia continuasse a crescere indipendentemente dal risultato della politica della Fed sull’inflazione.
L’ipotesi di un nuovo ciclo economico
“In effetti, dopo la lieve flessione nella prima metà del 2022 l’economia statunitense ha ripreso a correre con una media del 2% - 2,5%”, ragiona Alessandro Tentori, CIO di AXA Investment Managers Italia. “Gli ultimi dati a disposizione suggeriscono addirittura un’accelerazione nel terzo trimestre, come fa l’indicatore Nowcast della Federal Reserve di Atlanta”.
La previsione di crescita del Pil americano della Fed di Atlanta per il terzo trimestre è addirittura vicina al 6%, spiega Tentori, e il consenso per l’anno in corso è aumentato al 2%.
Fonte: AXA IM, Bloomberg, agosto 2023
Non solo l’economia americana non è andata in recessione, come il consenso aveva previsto (noi inclusi), ma negli ultimi tempi ha ripreso a crescere. Se non ci fosse un “landing”, sottolinea Tentori, “si avvererebbe l’ipotesi che siamo all’alba di un nuovo ciclo economico”.
Avremmo quindi lo scenario probabile di un’inflazione viscosa, persistente, al di sopra del target delle banche centrali, per domare la quale sarebbero necessari tassi d’interesse più alti della media degli ultimi dieci anni.
Buoni dati macro
Gli ultimi dati sull’inflazione statunitense, risalita leggermente a luglio al 3,2% (dal 3% di giugno), confermano il suo rallentamento rispetto al 9% dell’estate di un anno prima. Il mercato del lavoro, con una disoccupazione al 3,8% ad agosto, è vicino alla piena occupazione.
Inoltre, i risultati societari del secondo trimestre mostrano che l’81% delle aziende dello S&P ha sorpreso al rialzo circa le aspettative sugli utili. La maggior parte ha dimostrato resilienza e capacità di far fronte alla stretta monetaria.
I settori più sensibili ai tassi d’interesse hanno già visto una correzione significativa, soprattutto negli Stati Uniti. Negli ultimi tempi, tuttavia, i dati sono in risalita. “C’è stata una rivalutazione degli asset al ribasso, ma ora il mercato sembra riprendersi”, spiega Tentori. È invece ancora in fase di correzione in eurozona e in Cina. Pensiamo all’immobiliare. Non si dovrebbe ripetere la crisi del 2008, in quanto manca quella stretta relazione tra il sistema bancario e il real estate come c’era negli anni 2008-2009.
Il rallentamento in eurozona
In eurozona, dove la Banca centrale europea (Bce) ha cominciato la stretta con un certo ritardo rispetto alla Fed e gli aumenti dei prezzi dell’energia hanno avuto un maggior impatto, i dati macroeconomici oggi suggeriscono una dinamica differente rispetto agli Stati Uniti. Infatti, le stime del consenso sul Pil dell’area euro sono stabili intorno a 0,5% da un po’ di tempo.
Con un’inflazione stabile al 5,3% (dati Eurostat per agosto) la Bce intende proseguire con i rialzi dei tassi, mentre i segnali di un rallentamento della crescita si moltiplicano così come le dissonanze all’interno del Consiglio direttivo della banca centrale.
Aggiungiamo rischio, ma restiamo cauti sulla duration
“In questo contesto, come dicevamo già a inizio anno, un approccio cauto sul rischio di duration potrebbe essere la scelta vincente”, conclude Tentori. “Preferiamo prendere rischio di credito o rischio azionario rispetto al rischio di tasso”.
Le performance da inizio anno hanno premiato questa scelta, basti pensare che l’indice Global High Yield da inizio anno ha fatto 6,6% mentre il benchmark di riferimento, il Global Aggregate Index, ha fatto zero (dati Bloomberg, 5 settembre 2023).
Nell’ipotesi di uno scenario “no landing”, ad AXA IM puntiamo su una strategia che miri a catturare le opportunità della ripresa globale in atto. Riteniamo inoltre rischioso puntare tutto sul Btp, specie in un periodo di inflazione appiccicosa e tassi in rialzo. Innanzitutto, perché il profilo di rischio del Btp non viene percepito dal piccolo risparmiatore. Esiste un rischio Italia in quanto al momento il rating S&P è BBB. Poi c’è un rischio dal punto di vista del rendimento, come su tutto il reddito fisso, ragione per cui anche se il Btp rende oltre il 4% non dobbiamo abbandonare il concetto di diversificazione, quanto mai importante oggi.
Con un rischio di credito leggermente minore si può investire in yield più alti rispetto al Btp utilizzando il mercato dei corporate europei.
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