Banche centrali e tassi, cosa ci aspetta dopo l’estate?
L’inflazione fa ancora paura, anche se la traiettoria dei tassi d’interesse ora sembra essere in discesa. Dagli Stati Uniti all’Europa, il timore delle banche centrali è che l’inflazione potrebbe ancora alzare la testa. Il peggio sembra essere alle spalle, tuttavia restano preoccupazioni legate soprattutto all’inflazione salariale. I policy makers quindi si muovono con cautela, per evitare di doversi pentire in futuro di aver commesso un errore di politica monetaria.
“La nostra view sulla politica monetaria resta invariata” spiega Alessandro Tentori, CIO Europe di AXA IM. “Prevediamo che la Fed faccia due tagli quest’anno e quattro l’anno prossimo, e che la Bce faccia ancora due tagli quest’anno – settembre e dicembre – e poi tre nel 2025”.
Timori di recessione
La Federal Reserve (Fed) ha lasciato invariati i tassi di riferimento al 5,25%-5,50% nel suo meeting di fine luglio. I dati macro mostrano un calo dell'inflazione e suggeriscono che sia in atto una normalizzazione del mercato del lavoro, ma il presidente della Fed, Jerome Powell, ha dichiarato di aver bisogno di più dati prima di ridurre i tassi e ha segnalato che potrebbe tagliare a settembre.
Quando a inizio agosto sono apparsi i primi segnali di debolezza del mercato del lavoro, i mercati finanziari sono andati in rosso, su timori di una recessione. “Basta poco a muoverli e i movimenti sono esacerbati per la poca liquidità”, spiega Tentori. Inoltre, i mercati “si attaccano a qualsiasi dato che possa avere una deriva negativa per l’economia”.
L’ultimo dato sui nuovi posti di lavoro negli Stati Uniti mostra un calo notevole rispetto alle attese degli analisti: sono stati creati +114.000 nuovi posti di lavoro a luglio (le attese erano per +185.000) e il tasso di disoccupazione è salito al 4,3% dal 4,1%. I mercati si sono innervositi e sulla Fed sono piovute accuse di lentezza nell’abbassare i tassi.
Ma i numeri non tengono conto della forte distorsione dovuta all’impatto dell’uragano in Texas e nei prossimi mesi potrebbero essere in aumento.
“I dati macroeconomici, seppur in leggero indebolimento, non supportano uno scenario di recessione,” sottolinea Tentori. Inoltre, le trimestrali delle aziende dell’S&P 500 sono state migliori delle aspettative.
Cautela della Fed
Nel complesso, la “guidance” della Fed resta invariata, vale a dire che la condizione per un taglio a settembre resta quella di riuscire ad avere maggior fiducia sul fatto che l’inflazione si sta muovendo verso il livello target del 2%.
Leggere variazioni sono invece state notate nel linguaggio usato dalla banca centrale a fine luglio, apparso più cauto rispetto a prima. Per esempio, la crescita dei posti di lavoro viene descritta come “moderata” (prima si diceva “resta forte”) e il tasso di disoccupazione “in aumento, anche se resta basso”.
Prima del prossimo appuntamento la Fed disporrà di altre due letture dell’inflazione e di nuovi dati sull’occupazione.
Bank of England taglia ma sembra crederci poco
Il timore che l’inflazione – anche se in calo – torni a salire è lo stesso condiviso dalle altre banche centrali. La Bank of England (BoE), per esempio, ha tagliato di 25 punti base al 5% per la prima volta dal marzo 2020. Tuttavia, tra i policy makers non c’era unanimità, con ben quattro economisti che hanno votato contro.
“Non vogliamo tagliare troppo velocemente o troppo tanto”, ha detto il governatore della BoE, Andrew Bailey.
La Bce non ha più fretta di tagliare
Vari indicatori hanno mostrato che dopo un prolungato periodo di stagnazione, l’Eurozona ha cominciato lentamente a crescere quest’anno, con salari in aumento al di sopra delle aspettative.
Fonte: AXA IM, Bloomberg.
“Questo processo di crescita dovrebbe accelerare con il taglio dei tassi” spiega Tentori. “Poi sono ormai passati due anni dallo shock dell’invasione dell’Ucraina e il problema dei prezzi dell’energia che aveva soprattutto impattato la Germania è meno sentito, le aziende si sono preparate per affrontare in futuro simili situazioni. Il quadro appare moderatamente migliore”.
Di recente, ha sorpreso la Germania, mostrando un’accelerazione dell’inflazione a luglio, un aspetto che non fa che aggiungere pressioni sul prossimo meeting di metà settembre della Bce. La banca guidata da Christine Lagarde a giugno ha cominciato a muoversi nella direzione di un taglio dei tassi d’interesse, ma per alcuni economisti lo ha fatto troppo presto.
Economia europea contrastata
Il quadro economico dell’Eurozona è pieno di contrasti: da una parte c’è la crescita resiliente di Francia, Spagna e Italia, dall’altra la debolezza della Germania, alle prese con un settore manifatturiero in contrazione.
“C’è stato un cambiamento di tono dopo il primo taglio e si è aperta ulteriore incertezza sulla tempistica”, aggiunge Tentori. Il messaggio è diventato più cauto. Lagarde ha affermato che dipendere dai dati non vuol dire “data-point dependence”, ovvero le future decisioni verranno prese non più sulla base di un singolo dato macro, ma di una serie di dati che provino una tendenza.
Il grafico mostra che la “normalizzazione” continua anche nel 2025:
Fonte: AXA IM, Bloomberg.
Una cosa è certa, rispetto a come eravamo abituati in passato, il percorso della normalizzazione da parte delle banche centrali sembra oggi molto più incerto.
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