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Sulle montagne russe
- 12 Febbraio 2025 (5 min di lettura)
A che punto siamo?
Il dibattito macroeconomico in questo momento si concentra sul “tasso di trasformazione” di Trump, ovvero sulla percentuale del suo programma che verrà effettivamente realizzata. Vista l’incertezza ancora alta, in particolare sul fronte dei dazi, ha senso che il mercato mostri tanta volatilità. Le dichiarazioni del 47° Presidente degli Stati Uniti sono però solo uno dei fattori che disorientano gli investitori. Non è semplice delineare lo stato dell’economia degli Stati Uniti prima di conoscere gli interventi della nuova amministrazione repubblicana.
L’economia reale è ancora assai robusta. Se le previsioni della Federal Reserve di Atlanta sono corrette, alla fine dello scorso anno il Pil stava crescendo oltre il potenziale. Secondo l’ultimo rapporto sull’occupazione del 2024 la creazione di posti di lavoro era robusta, a fronte di una piccola riduzione del tasso di disoccupazione ancora basso. A inizio gennaio tali dinamiche hanno favorito l’ascesa degli yield a lungo termine. Il dato migliore del previsto sull’inflazione core a dicembre ha però raffreddato il mercato obbligazionario, fermando quella che sembrava una marcia inesorabile del rendimento decennale verso il 5%.
A offuscare ulteriormente lo scenario di ripresa dell’inflazione è arrivato il primo elenco di ordini esecutivi del nuovo Presidente Donald Trump che non contiene aumenti immediati dei dazi. Insieme alle dichiarazioni conciliatorie nei confronti della Cina, ciò ha fatto tirare un sospiro di sollievo ai mercati. La Federal Reserve, che sembrava aver sospeso gli interventi, dovrebbe tagliare i tassi due volte nel 2025, sulla base dei contratti a termine. È possibile che l’amministrazione Trump finisca per essere meno problematica di quanto si temesse, con la deregolamentazione e l’energia a buon mercato che consentiranno una robusta crescita con un’inflazione limitata?
In verità, il vortice di notizie provenienti dagli Stati Uniti è preoccupante. Vediamo allora qual è il nostro scenario di base. L’inflazione a dicembre ci ha portato una buona notizia, ma una tendenza non è mai chiaramente definita. Secondo noi si tratta più che altro di una tregua. Anche se vogliamo formulare una stima generosa sulla crescita potenziale degli Stati Uniti, le pressioni sull’offerta persistono e gli indicatori alternativi dell’inflazione sottostante (per esempio la media troncata dei prezzi al consumo della Fed di Cleveland che sottrae gli effetti dei contributi più estremi alle dinamiche dei prezzi) segnalano che la disinflazione sta ristagnando dalla fine della scorsa estate. Sul fronte politico, anche se Donald Trump portasse a termine solo una parte del suo programma, a nostro giudizio, sarebbe difficile che l’inflazione tornasse a convergere con il target della Federal Reserve. Prendiamo per esempio la politica sull’immigrazione. Si potrebbe dubitare della capacità, o persino della prontezza, dell’amministrazione Trump di deportare una percentuale consistente degli immigrati senza permesso che si trovano attualmente negli Stati Uniti, tuttavia gli arresti e le discussioni con la Colombia probabilmente agiranno da deterrente nei confronti di chi aveva intenzione di oltrepassare il confine. Una consistente riduzione del flusso di nuovi ingressi nel mercato del lavoro americano basterebbe a riaccendere le pressioni sui salari, soprattutto poiché la crescita dei salari è ancora abbastanza robusta.
Per quanto concerne i dazi, non ci consola il fatto che finora non siano stati annunciati. I dazi sono il “coltellino svizzero” di Trump: può usarlo come leva per tutto, per esempio per punire il Canada per non essere riuscito a bloccare le importazioni di fentanil, o per costringere l’Europa a continuare ad acquistare gas naturale liquefatto dagli Stati Uniti. L’elenco dei modi in cui i dazi potrebbero essere utilizzati da Trump è così lungo che siamo abbastanza sicuri che verranno introdotti almeno in parte. Inoltre, il governo federale considera i dazi una fonte di ricavo. Dato che i falchi del partito Repubblicano a dicembre hanno mostrato la loro determinazione sul fronte fiscale e non hanno concesso l’estensione del tetto del debito di due anni, la liquidità derivante dai dazi, che saranno incassati da una nuova agenzia delle entrate esterne, potrebbe servire a convincere il Congresso a introdurre i tagli fiscali promossi dal presidente.
Tutto ciò ci porta a prevedere che la Fed interromperà presto i tagli, ce ne sarà probabilmente ancora uno di 25 punti base a marzo, con conseguenze spiacevoli per i mercati azionari e obbligazionari statunitensi
La situazione in Europa (purtroppo) è di più facile interpretazione
Quest’incertezza non c’è in Europa. I sondaggi sui consumi indicano che le famiglie continuano a risparmiare buona parte del potere di acquisto derivante dal divario tra la crescita dei salari ancora robusta (sostanzialmente per l’effetto ritardato dello shock sui prezzi di due anni fa) e l’inflazione in rapido calo. Dai sondaggi tra le imprese emerge che gli investimenti aziendali probabilmente non aumenteranno, mentre le intenzioni di assunzione stanno diminuendo pericolosamente. La prospettiva di una stretta fiscale, mediamente in tutta l’Eurozona, non aiuta. A Davos, Ursula Von der Leyen ha cercato di rispondere all’attacco di Trump confermando i valori europei e promettendo maggiore efficacia nella strategia di crescita concentrata sul completamento dell’unione dei mercati finanziari, sul riciclaggio dei risparmi europei in investimenti a livello locale, sulla semplificazione delle regole europee e sui progressi sul quadro energetico nell’UE. Per quanto Bruxelles sembri più reattiva, la situazione politica in diversi stati membri non consente di fare grandi passi avanti a livello europeo. I negoziati per la coalizione dopo le elezioni in Germania potrebbero ridimensionare le ambizioni, e in Francia la mancanza di chiarezza politica persiste.
Come spesso accade, la Banca centrale europea (BCE), che resta l’unica istituzione europea con un mandato politico ampio e la capacità di prendere decisioni relativamente rapide, dovrà fare da “ponte” per l’economia europea. Fortunatamente, per la BCE non dovrebbe essere molto difficile portare un raggio di sole in Europa, eliminando le restrizioni durante gli incontri dei prossimi mesi. A Davos, Christine Lagarde ha riconosciuto che l’Europa si trova di fronte a una “crisi esistenziale”. Ciò dovrebbe spingere la BCE a concentrarsi sui rischi per la crescita, anziché sul possibile aumento dell’inflazione. Anche se non nell’immediato, a differenza del mercato che ha rivisto al rialzo la prevista traiettoria della politica monetaria europea, noi crediamo che la banca centrale si muoverà verso un approccio più accomodante e toccherà l’1,5% entro la fine di quest’anno (il mercato dice il 2%).
La politica degli Stati Uniti diffonde incertezza tra gli investitori
Le prospettive d’investimento non sono chiare. La ragione più ovvia è l’incertezza sulla realizzazione e sugli effetti delle politiche del Presidente Donald Trump. Un altro fattore di preoccupazione sono le valutazioni. Ciò è particolarmente evidente per le valutazioni delle azioni statunitensi, in particolare delle società tecnologiche. Persino nei mercati del reddito fisso c’è qualche preoccupazione per le valutazioni. Gli spread di credito, che rappresentano il premio per il rischio aggiuntivo che gli investitori obbligazionari ricevono rispetto ai titoli di Stato privi di rischio, si trovano ai minimi del range storico. Il rischio è che i mercati, a un certo punto, reagiscano male agli annunci politici facendo salire i premi per il rischio (che significa un calo dei prezzi azionari e un ampliamento degli spread). Ciò avrebbe conseguenze negative, sia per i consumatori, attraverso un effetto ricchezza negativo, che per le società, attraverso costi di finanziamento più elevati. Tali rischi vanno valutati in relazione agli obiettivi di creare crescita e ricchezza. Finora ciò è stato associato agli “istinti animali” della comunità di imprese americane e al desiderio del resto del mondo di non restare indietro in quella che il Presidente ha definito la nuova età dell’oro dell’America. Ora più che mai, la diversificazione è fondamentale per gli investitori.
La diversificazione è più che mai necessaria
I due livelli di diversificazione riguardano le asset class, ovvero il giusto equilibrio tra azioni e obbligazioni in portafoglio, le azioni statunitensi rispetto al resto del mondo e il posizionamento nel reddito fisso in un contesto caratterizzato da tassi di interesse e rendimenti obbligazionari più alti dei livelli pre-Covid.
L’aumento degli yield e dei tassi di interesse è importante da diversi punti di vista. Noi prevediamo un calo dei tassi d’interesse nelle principali economie durante il prossimo anno, tuttavia sarà improbabile che i tassi tornino ai livelli estremamente bassi del decennio dopo la crisi finanziaria globale. L’inflazione e le questioni fiscali incideranno sui tassi d’interesse a lungo termine e ridurranno lo spazio di manovra delle banche centrali, soprattutto negli Stati Uniti. Prevediamo tagli più aggressivi da parte della Federal Reserve solo se e quando la crescita rallentasse molto, un rischio che, secondo noi, potrebbe manifestarsi solamente il prossimo anno. Per ora, i mercati prevedono che i tassi restino intorno al 4% nel medio termine, che rappresenta un limite minimo per il rendimento delle obbligazioni in dollari USA. In Europa, l’inflazione più bassa e la crescita più debole daranno alla BCE più spazio di manovra per abbassare i tassi al di sotto del 2%, ma i mercati scontano il tasso a medio termine tra il 2,0% e il 2,5%.
Negli Stati Uniti il valore relativo delle azioni e delle obbligazioni durante l’anno scorso si è spostato a favore delle obbligazioni. Un confronto abbastanza semplice, gli utili azionari e il rendimento dei titoli di Stato privi di rischio, evidenzia che le azioni non sono mai state così costose in termini relativi dalla bolla delle dot.com alla fine degli anni ‘90. Utilizzando un metodo Shiller per rettificare gli utili per il ciclo economico e l’inflazione, il mercato azionario statunitense di recente scambiava a un PE rettificato intorno a 30 (lo stesso livello di inizio 2000 e inizio 2022, poco prima che la Fed iniziasse ad alzare i tassi). Rispetto alle obbligazioni, le azioni USA sono costose con il rendimento dei Treasury decennali intorno al 4,5%.
Non c’è garanzia di rendimento in futuro per un portafoglio di azioni statunitensi. Le valutazioni sono distorte dai prezzi elevati di un piccolo numero di società tecnologiche americane. Tuttavia, quando abbiamo rilevato valutazioni analoghe in precedenza, c’è poi stata una correzione del mercato azionario. Dato che il settore tecnologico è soggetto al rischio di concorrenza, le obbligazioni oggi possono offrire una copertura più rilevante contro un rallentamento dell’azionario sulla scorta della rettifica delle valutazioni tecnologiche. Le oscillazioni dei prezzi azionari e obbligazionari non sempre presentano una correlazione negativa, ma nei momenti di stress dell’azionario ciò è possibile. Un investimento significativo nel reddito fisso può aiutare a generare rendimenti rettificati per il rischio migliori, soprattutto se rileviamo più volatilità nei mercati azionari.
Reddito più elevato
In questo momento le obbligazioni possono generare potenzialmente un reddito più elevato. Le cedole medie sono in aumento e continueranno a salire man mano che le obbligazioni a bassa cedola emesse durante l’allentamento quantitativo giungeranno a scadenza. Il rendimento reddituale degli indici obbligazionari è aumentato durante lo scorso anno. Nel 2024 il rendimento della liquidità superava ancora il reddito dei titoli di Stato e delle obbligazioni investment grade, ma il predominio della liquidità sta diminuendo ora che i tassi a breve stanno scendendo. Per il mercato statunitense, un portafoglio obbligazionario investment grade dovrebbe produrre un reddito del 4,5% circa il prossimo anno. Per un portafoglio analogo denominato in euro, il rendimento previsto è del 2,5% o superiore. Le obbligazioni societarie high yield hanno prodotto e dovrebbero continuare a produrre un reddito più elevato.
Il fattore principale di rendimento per le azioni statunitensi è stata la crescita degli utili, e le società in forte crescita sono state premiate da prezzi azionari più elevati. In questo momento, gli investitori prevedono utili robusti. Sembra che la stagione degli utili del 4° trimestre 2024 sarà un altro periodo di crescita a doppia cifra. Al fulcro del programma di Trump ci sono iniziative favorevoli alla crescita, ovvero i tagli alle imposte per le imprese e la deregolamentazione. Ci sono però scenari che potrebbero gravare sulle prospettive di crescita delle azioni. Tra questi, una guerra commerciale per via dei dazi imposti dagli Stati Uniti e una concorrenza più aggressiva sul fronte tecnologico. Anche se la crescita degli utili dovesse resistere, come indicano i dati macroeconomici, l’incertezza politica e le tensioni geopolitiche potrebbero far scendere i multipli delle valutazioni. Un flusso di reddito robusto dal reddito fisso può proteggere i portafogli da tali sviluppi.
Perché puntare sulle azioni europee
Per i mercati azionari nel resto del mondo, la politica negli Stati Uniti e la reazione dei mercati americani saranno fattori importanti. Tuttavia, ci sono alcune ragioni a favore di un aumento della diversificazione geografica. In Europa, la combinazione tra un rendimento da dividendi solido e la crescita degli utili potrebbe consentire ancora una volta rendimenti a doppia cifra. Con la risposta dell’Europa alle politiche più aggressive degli Stati Uniti, la crescita prevista potrebbe essere più forte; gli sviluppi sul fronte dell’unione dei mercati finanziari e della deregolamentazione vanno monitorati, così come va considerato se l’Europa continuerà con entusiasmo sul fronte degli investimenti verdi alla luce dello scetticismo di Washington sui cambiamenti climatici. La fine della guerra in Ucraina potrebbe dare più fiducia alle imprese europee. Sembra invece che la fiducia sulla Cina abbia toccato il fondo. Gli interventi politici e la necessità che la Cina si adatti all’ostilità degli Stati Uniti potrebbero portare a una migliore performance dei mercati azionari dopo anni difficili. La relativa convenienza dei mercati europei e asiatici rispetto agli Stati Uniti ha caratterizzato i mercati globali per molto tempo. Le incertezze odierne derivano però principalmente dalla politica americana che, abbinata alle valutazioni, ci fanno propendere per una minore concentrazione nei mercati americani.
Per il reddito fisso, gli yield si trovano in una fascia che consideriamo abbastanza neutrale. Tuttavia, sempre negli Stati Uniti c’è il rischio che il rendimento dei titoli del Tesoro salga, considerate le prospettive macroeconomiche, inflazionistiche e fiscali. Lo yield aggiuntivo offerto dalle obbligazioni societarie, sia high grade che high yield, le rende più appetibili dei titoli di Stato. Per gli investitori con sede in Europa, il costo di copertura dell’esposizione in dollari e i rischi correlati ai tassi di interesse rendono i mercati locali più interessanti. I fondamentali di credito sono solidi, e non ci aspettiamo un ampliamento significativo degli spread denominati in euro. Per qualche investitore, la convenienza dei titoli di Stato rispetto al credito e agli swap sui tassi di interesse che, secondo noi, riflettono il premio per il rischio fiscale, potrebbe apparire interessante, soprattutto per chi ha un portafoglio istituzionale e limiti di credito.
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