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Riconvergenza (Luglio 2024)

Punti chiave
Un taglio dei tassi da parte della Federal Reserve quest’anno appare sempre più probabile, mentre la BCE dovrebbe continuare con il suo approccio prudente di graduale allentamento della stretta. Nel secondo semestre del 2024 le politiche tra le due sponde dell’Atlantico potrebbero dunque convergere nuovamente.
Il proseguimento di tale tendenza, che favorisce la stabilità della valuta, anche nel 2025 dipenderà dai risultati delle elezioni negli Stati Uniti.
I mercati non sono alla fine del ciclo.
Gli utili del 2° trimestre appaiono robusti negli Stati Uniti.
Rendimenti obbligazionari al valore equo.

Un ritardo, non una divergenza

La scorsa primavera le discussioni macroeconomiche vertevano sul rischio di un’effettiva divergenza della politica monetaria tra le due sponde dell’Atlantico che esercitava una pressione al ribasso sull’euro. In effetti, mentre la Banca Centrale Europea (BCE) era incline a rapidi tagli ai tassi, la possibilità che la Federal Reserve tagliasse i tassi d’interesse almeno una volta quest’anno diventava sempre meno ovvia. Fortunatamente, con l’inizio dell’estate, quella che sembrava una divergenza di politiche appare solamente come un ritardo: la banca centrale americana dovrebbe essere nelle condizioni di tagliare due volte i tassi nel 2024, in linea con il nostro scenario di base, mentre è sempre più evidente che la BCE non ha intenzione di operare “tagli d’emergenza” e continuerà con il suo approccio prudente, con tre tagli soltanto quest’anno.

Nel momento in cui scriviamo, il mercato sconta un taglio dei tassi da parte della Fed a settembre con una probabilità di quasi il 100%. A inizio maggio, era del 51% soltanto. Certamente le buone notizie sul fronte dell’inflazione hanno contribuito a tale cambiamento. L’indice dei prezzi al consumo negli Stati Uniti è sceso dello 0,1% a giugno rispetto al mese precedente, ovvero 0,2 punti percentuali in meno rispetto alle aspettative del mercato; la variazione annua non era mai stata così bassa al 3,0% da marzo 2021. 
Il CPI core è salito dello 0,1% nel mese, ma anche questo dato è inferiore al previsto (0,2%) e la variazione su base annua al 3,3% ha toccato il minimo in oltre 3 anni. Il momentum a breve termine, che contribuisce a controllare gli effetti di base, mostra che i servizi core escluse le locazioni (un’importante fonte di preoccupazione per la Fed) stanno decelerando molto da diversi mesi.

Notiamo in particolare un cambiamento nei due target della Federal Reserve: di fronte ai segnali che l’inflazione sta tornando nuovamente sotto controllo, l’attenzione della banca centrale si sta spostando verso il mercato del lavoro,  e in particolare sul rischio di un suo eccessivo deterioramento qualora la stretta monetaria resti troppo a lungo intorno ai livelli attuali.

Nel frattempo nell’Area Euro la BCE invia segnali di cautela. La conferenza stampa della Banca Centrale Europea di luglio è stata abbastanza disomogenea: mentre le dichiarazioni macro sono apparse accomodanti e hanno espresso una certa fiducia, e l’inflazione continua a scendere nonostante qualche dato mensile in inversione di tendenza, Christine Lagarde non si è espressa sulle prossime mosse dell’istituto. Le opinioni in seno al Comitato potrebbero essere divise, e lo scenario politico in importanti stati membri (anche se la Francia non è stata menzionata direttamente) potrebbe portare a una posizione tattica da parte di alcuni funzionari favorevoli alla stretta che non vogliono lasciar intendere a governi con un programma economico fatto di costose misure che l’allentamento monetario si avvicina. I timori sulla tenuta dei prezzi dei servizi alimenta tale riluttanza. Confermiamo il nostro scenario di base che prevede due tagli dei tassi (a settembre e dicembre), per quanto sia evidente che la BCE non è disposta a correre rischi.

Tali dinamiche potrebbero portare a una riconvergenza, ovvero a un riavvicinamento delle politiche della Fed e della BCE nel secondo semestre del 2024, con l’eliminazione di alcune restrizioni monetarie ma senza arrivare a una vera e propria politica accomodante. Per quanto i recenti segnali siano stati eterogenei (l’aumento del tasso di disoccupazione negli Stati Uniti dev’essere attentamente monitorato), le due principali regioni economiche d’Occidente non devono affrontare un rischio imminente di recessione.

Nel 2025 il rischio di una divergenza probabilmente aumenta anziché diminuire. Infatti, in caso di vittoria di Donald Trump a novembre, il suo programma di governo probabilmente farà salire le pressioni inflazionistiche, tra la riduzione dell’immigrazione, il prolungamento dei tagli fiscali previsti dalla legge Tax Cut and Jobs Act1  e soprattutto gli aumenti consistenti dei dazi. In tali circostanze potrebbe essere difficile per la Fed continuare a tagliare i tassi. D’altra parte nell’Area Euro, nonostante l’incertezza politica in Francia, la politica fiscale è tendenzialmente restrittiva per cui la BCE avrebbe la possibilità di tagliare ulteriormente i tassi, soprattutto se i produttori europei venissero colpiti dagli aumenti dei dazi degli Stati Uniti e dall’intensificarsi della concorrenza da parte della Cina. Se nel contempo dovesse esserci una nuova contrazione delle condizioni finanziarie negli Stati Uniti (che potrebbe contagiare i tassi europei a lungo termine), la BCE sarebbe costretta ad adottare una politica veramente accomodante con maggiore rapidità. D’altra parte, le difficoltà economiche potrebbero convincere anche le forze politiche tradizionali in Europa (che sono ancora presenti, come ha dimostrato la facile rielezione di Ursula von der Leyen) ad adottare un approccio più aggressivo negli scambi internazionali, colpendo in particolare la Cina.

In tale scenario, le scelte politiche della Cina sarebbero fortemente limitate. Continuare a scommettere sui settori all’esportazione quando i mercati esteri stanno chiudendo le porte sarebbe controproducente. La risposta giusta sarebbe stimolare la domanda locale, puntando sui consumi più che sugli investimenti. Ciò significherebbe una svolta importante per la strategia macro di Pechino. Monitoreremo dunque attentamente le decisioni del Partito Comunista.

È la fine del ciclo? Non ancora

I portafogli con una bassa sensibilità ai tassi di interessi, orientati verso la crescita economica e fortemente esposti alle società tecnologiche hanno riportato le migliori performance finora nel 2024. Il World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale ha delineato uno scenario di crescita globale moderata e di rallentamento dell’inflazione tra il 2024 e il 2025. Gli investitori dovrebbero perciò conservare le strategie che hanno funzionato. Uno dei rischi principali è che l’inflazione non rallenti a fronte dell’aumento dei prezzi dei servizi, tuttavia il rischio di un inasprimento della stretta monetaria per contrastare tale fenomeno è minimo. È possibile che i tassi restino più alti più a lungo, come ha evidenziato il Fondo Monetario, ma i modesti tagli ai tassi di interesse che saranno operati nel corso del prossimo anno, e che sono già stati scontati dai mercati, sembrano ancora l’esito più probabile. Pertanto potrebbe essere consigliabile aumentare un po’ la sensibilità ai tassi di interesse, ovvero la duration, dei portafogli. Ciò non cambierà però le sorti dei rendimenti, a meno che non si verifichi un rallentamento più marcato della crescita economica. Le curve dei tassi d’interesse restano inverse e ciò significa che beneficiare dei tassi elevati senza aumentare il rischio sembra ancora una strategia interessante. Come ha evidenziato il recente rapporto della Fed sul flusso di fondi, le posizioni nel mercato monetario negli Stati Uniti continuano a essere elevate.

Rendimenti obbligazionari ben ancorati

Politica a parte, la sfida principale per gli investitori consiste nel valutare se la fine della fase di espansione del ciclo economico si sta avvicinando. I segnali al momento non sono chiari ma, secondo noi, è improbabile che si vada rapidamente verso una fase di recessione. Le politiche delle banche centrali nelle principali economie sono coerenti con una costante espansione, nel tentativo di assicurarsi che l’inflazione non salga molto oltre i livelli target. Gli yield obbligazionari a lungo termine sembrano al valore equo, certamente sono in linea con le aspettative di crescita del Pil nominale a medio termine. Eventuali deviazioni dal range attuale potrebbero scatenare un intervento, ovvero tagli dei tassi più rapidi o politiche fiscali che potrebbero far aumentare il debito pubblico. In assenza di shock politici, gli yield a lungo termine sembrano ben ancorati. Di conseguenza, la normalizzazione delle curve dei rendimenti avverrà probabilmente con lentezza. Ancora una volta, non è il momento di scommettere in modo aggressivo sulla duration lunga nel reddito fisso.

Anche in altri segmenti dei mercati obbligazionari non si rilevano segnali d’allarme. Gli spread sulle obbligazioni societarie sono stabili e si avvicinano ai livelli minimi del ciclo. Eppure, la domanda delle obbligazioni investment grade e high yield resta robusta. Naturalmente ci sono stati eventi di credito ma, nel complesso, le insolvenze e i fallimenti sono rimasti stabili negli Stati Uniti e in Europa. Il rischio di rifinanziamento è stato contenuto nonostante il rialzo dei tassi di interesse, dato che le aziende avevano in genere esteso la duration del debito negli ultimi anni. Non sono mancati i compratori, con gli yield in Europa intorno al 3%-4% per il segmento investment grade, mentre negli Stati Uniti gli investitori si sono assicurati il 5%-5,5%. L’abbondanza del credito privato è stata particolarmente utile agli emittenti più indebitati.

Situazione instabile nei mercati azionari, ma i rendimenti sono robusti

I mercati azionari potrebbero manifestare qualche stress ciclico, tuttavia finora le price action inusuali hanno riguardato unicamente le prese di profitto sui titoli tecnologici e qualche cambiamento nella leadership del mercato che sembra riflettere le nuove aspettative sui tassi di interesse più che i rischi di recessione. Sul fronte degli utili, la stagione delle trimestrali relativa al 2° trimestre è in corso. Finora, la crescita per l’indice S&P500 sembra stabile intorno all’8-9%, con qualche sorpresa sul fronte degli utili in diversi settori, tra cui i finanziari. A luglio, le valutazioni dei titoli growth rispetto alle azioni a bassa capitalizzazione sono scese molto, l’indice Russell 2000 delle small cap ha superato brillantemente l’indice S&P Growth dopo la pubblicazione del dato sull’inflazione dei prezzi al consumo di giugno. Tali dinamiche potrebbero portare a una performance più bilanciata per le azioni statunitensi; nelle ultime settimane anche l’S&P equamente ponderato ha fatto meglio dell’indice ponderato per la capitalizzazione di mercato. Se i tassi dovessero scendere velocemente ne beneficerebbero le società più piccole e più sensibili al ciclo di mercato, in particolare se gli investitori ritengono che la mancanza di sensibilità ai tassi sia stato un fattore trainante della performance dei titoli tecnologici negli ultimi due anni.

Non manca qualche preoccupazione sul fronte dei consumi negli Stati Uniti, come indica il leggero indebolimento del mercato del lavoro. Comunque, i beni voluttuari hanno riportato nel complesso buone performance. Se lo scenario di base per l’economia americana è ancora un soft landing, che si riflette in una performance più bilanciata per l’azionario, allora l’aumento spropositato delle valutazioni del settore tecnologico che ha caratterizzato il primo semestre dell’anno forse non si ripeterà. Non ci sembra però ancora il momento di aspettarsi un ribasso del tecnologico. I recenti risultati della società taiwanese di semiconduttori TSMC segnalano un aumento della domanda di chip con investimenti continui nel campo dell’intelligenza artificiale.

L’equilibrio è un fattore positivo?

Dal punto di vista comportamentale, gli investitori potrebbero sentirsi a disagio all’idea che i mercati si trovano a livelli di equilibrio. Le valutazioni delle obbligazioni sono a valori equi, l’andamento dei tassi d’interesse sulla base dei tassi a termine è in linea con il consensus macroeconomico, e le valutazioni azionarie nel complesso riflettono la crescita costante degli utili aziendali nelle principali economie. Preoccupano i rischi politici e geopolitici che potrebbero concretizzarsi, andando a interrompere le catene di distribuzione. Ma si tratta di rischi più che di realtà concrete. I mercati obbligazionari presentano opportunità di reddito molto interessanti e possono offrire una copertura in caso di sviluppi ciclici avversi (le banche centrali possono tagliare i tassi se le probabilità di recessione aumentano). Il reddito supplementare derivante dalle obbligazioni societarie ha compensato più che adeguatamente il rischio di credito (il rapporto tra gli spread investment grade USA e la volatilità a 1 anno di tale spread in questo momento è assai vicino alla media a lungo termine). Nei mercati azionari, i timori concreti sul fronte delle valutazioni riguardano unicamente i titoli tecnologici americani, ma è lì che si trova il maggior potenziale di crescita degli utili. Al di fuori degli Stati Uniti, le valutazioni sono rassicuranti, mentre una crescita globale stabile dovrebbe favorire rendimenti discreti grazie a utili e dividendi.

Di conseguenza, non ci sono ragioni per cambiare radicalmente il portafoglio. Il reddito più elevato delle obbligazioni è un tema che sta ancora prendendo piede. La tendenza a lungo termine del settore tecnologico persiste. Ci sono opportunità di valore nei mercati azionari al di fuori degli Stati Uniti. Nelle stime dell’FMI, il divario di crescita tra gli Stati Uniti e l’Europa dovrebbe diminuire e ciò alimenta ulteriormente l’interesse per le azioni europee. È da tempo che le prospettive dei mercati emergenti non erano così positive, grazie al miglioramento delle condizioni macroeconomiche e ai progressi fatti da diversi governi che hanno ridotto il debito pubblico e attuato riforme strutturali.

La fine del ciclo non è ancora arrivata. I rischi principali dipendono dall’incertezza politica che però da sola non basta per spingerci verso una strategia marcatamente più difensiva. Il fattore trainante dell’attività di investimento nel resto dell’anno dovrebbe essere un’esposizione selettiva alle opportunità di crescita e di reddito nei mercati sostenuti dalla tenuta dell’economia globale.

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